Il 6 marzo scorso l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha reso noto che in Repubblica democratica del Congo è stata dimessa dall’ospedale l’ultima persona contagiata dal virus Ebola.
La lotta contro l’ebola
Mentre tutto il mondo sta seguendo con apprensione l’evolversi dell’epidemia del nuovo Coronavirus che sta travolgendo la salute dell’intero Pianeta, dall’Africa arriva una straordinaria notizia. Dopo 19 mesi è cessata in Repubblica Democratica del Congo la seconda peggior epidemia di ebola della storia e la prima in un contesto di guerra.
Bisognerà aspettare 42 giorni, ovvero due cicli interi di incubazione del morbo e si potrà dichiarare l’epidemia debellata.
L’Oms ha dichiarato l’epidemia il primo agosto del 2018 e che oggi, stando ai dati dell’Oms, ha colpito 3.444 persone, causando la morte di 2.264.
Il virus Ebola provoca una febbre emorragica molto potente. La mortalità cambia in base ad alcune caratteristiche della persona contagiata, ma oscilla tra il 67 e l’88%.
Oms, Medici senza Frontiere (Msf), le agenzia per lo sviluppo americana e britannica (Usaid e Ukaid), hanno stanziato circa 500 milioni di dollari.
Nicolò Carcano, responsabile per il Congo di Avsi, spiega che sono state le competenze dal punto di vista scientifico a fare la differenza. Sono stati realizzati due vaccini, il secondo è stato quello più efficacie.
L’Oms ha utilizzato immediatamente il vaccino per immunizzare tutte le persone che erano venute a contatto con un contagiato nelle 48 ore precedenti. Questa tecnica ha avuto un impatto impressionante nel ridurre la diffusione del virus.
Attacchi e violenze
Le organizzazioni internazionali hanno spesso subito attacchi violenti dai cittadini e dalle bande armate.
In questi 570 giorni di diffusione del virus i cittadini hanno dovuto convivere con gruppi ribelli. Tra questi anche le milizie islamiste delle Forze alleate democratiche (Adf).
“Sono state date alle fiamme dei presidi sanitari, uccisi dei medici” ricorda il capo missione di Avsi. “C’era una fortissima diffidenza e rabbia, soprattutto nei confronti della pratica di bruciare i corpi delle persone decedute a causa del virus per evitare ulteriori contagi”.
Inoltre si è sviluppato un conflitto interno tra coloro che lavoravano per combattere la diffusione del contagio e chi no. Una larga fetta della popolazione, mossa da teorie complottiste, considerava il virus come un piano segreto di potenze occulte che miravano a sterminare la popolazione congolese per impossessarsi delle risorse del sottosuolo.
Il peggio sembra ormai passato, ma ora a spaventare è il Coronavirus. Infatti ieri è stato registrato il primo caso all’interno del paese. La facilità di trasmissione del nuovo virus porta a pensare che in un paese come il Congo la situazione potrebbe degenerare rapidamente.
Un sistema sanitario molto precario, quasi assente, non è in grado di affrontare una tale emergenza.
L’Europa ha quindi mostrato un certo disinteresse e mostra, come già precedentemente è accaduto, l’interessa ad un epidemia solo quando in pericolo sono i propri confini e la propria incolumità.
In Africa la salute è un privilegio
Mentre la salute è un diritto garantito nel mondo occidentale, in Africa è ancora un privilegio per pochi. Nonostante gli sforzi la copertura sanitaria in Africa, e nell’Africa sub sahariana in particolare, è ancora un miraggio.
Secondo la Nazioni Unite, l’Africa detiene solo il 3% del personale sanitario mondiale, nonostante abbia gran parte del carico delle malattie del mondo.
Il sistema sanitario pubblico in Guinea, Liberia e Sierra Leone (i tre Stati più colpiti dall’emergenza Ebola) già prima della crisi, era debole e fragile: 4,5 medici ogni 100mila abitanti. La media italiana e’ di circa 376 medici ogni 100mila abitanti.
Le malattie infettive sono la causa del 40% dei decessi nei Paesi in via di sviluppo, l’1% in quelli industrializzati. Nell’Africa sub sahariana l’HIV è ancora la prima causa di morte.
Iil 50% della popolazione, mediamente, vive sotto la soglia di povertà, cioè con meno di 2 dollari al giorno.
Questo significa, per essere ottimisti, che la metà della popolazione non può permettersi cure sanitarie adeguate. Infatti la sanità in Africa si paga e l’accesso non è garantito alle fasce povere della popolazione.
Foto copertina di Marco Gualazzini.