
Non è più il tempo delle crociate ma immaginiamo di avere davanti il grande capo della più grande tribù istituzionalizzata rimasta ancora in vita, quindi immaginiamo una conversazione con otto ragazz* credenti, atei e agnostci che parlano di se stessi e delle loro personalissime situazioni (aborto, sex worker, non binary, bullismo, immigrazione, razzismo, femminismo e così via). Poi immaginiamo un’opportunità sprecata per far parlare di colpe e giustizia. Quelli della Chiesa cattolica sono gli anni della resa dei conti, sono gli anni in cui i mea culpa non bastano più.
Amén è un documentario distribuito su Disney+, si pone come obiettivo l’essere provocatorio, accogliente e fraterno allo stesso tempo ma perpetua, senza che qualcuno riesca a interferire davvero, le stesse prevaricanti dinamiche di potere finalizzate alla pubblicità di un dogma che arranca nel creare nuovi seguaci. Rimane il dubbio, nel caso in cui non fosse tutto concordato e i ragazz* seguissero un copione (che è un’opzione migliore rispetto alla percezione che li vede come comparse di se stessi), di come si siano sentiti nel sentirsi allusivamente e deliberatamente sviliti nel corso della conversazione. Rimane il dubbio -ancora – di capire perché non è stato possibile vedere un contraddittorio, sentire le risposte che quei ragazz* avrebbero potuto e dovuto dare ogni volta che Papa Francesco riportava le tematiche a giustificazioni inconsistenti, per poi tornarci dopo pochi minuti condannando gli stessi comportamenti per i quali “la chiesa si assume le sue responsabilità”.
Amén, Papa Francesco e dieci giovani da ogni parte del mondo

Una donna sex worker parla di pornografia e del fatto che sente di essere una buona madre per sua figlia perché quel lavoro le permette di donarle una vita felice, Papa Francesco la rassicura parlando della moralità soggettiva con cui si utilizza internet (e del vecchio, ma sempre verde, motto “se non fai male a nessuno”). Tuttavia, dopo che un’altra ragazza, discendente da una famiglia di neocatecumenti, fa notare come la pornografia sia svilente per le persone, Francesco torna sui suoi passi, perché tra i suoi ascoltatori trova un’alleata, fino all’insolito paragone della pornografia allo spaccio di droga. Uno scivolone di troppo se eliminiamo la parte in cui pone sullo stesso piano una donna che abortisce e un sicario pagato per uccidere.
Questo documentario è solo un’occasione (forse persa?) per poter costruire un ponte tra chi è credente e chi non lo è, tra fede e scienza, tra analisi sociale e anacronismi storici. Finisce però con il perdersi nel cortocircuito dell’arroganza di quelli che non vogliono – o non possono – insinuare il dubbio e l’incertezza. Dopo aver detto che Dio è Padre, una ragazza femminista e credente chiede a Francesco perché le donne nella chiesa cattolica hanno un ruolo in secondo piano, perché non possono diventare sacerdotesse, perché non possono diventare Papa. La risposta è un lento, deleterio arrampicamento su specchi scivolosissimi, arrivando a una desolante affermazione che vuole l’articolo determinativo femminile al termine chiesa: quindi Dio è Padre e LA chiesa è Madre, nella pratica la situazione si traduce con i maschi in posizioni di potere e le femmine che fanno le contabili.
Amén, un’altra occasione per fare propaganda?
Perché nessuno ha rimbeccato il Papa facendogli notare i cortocircuiti di senso? Perché, quando il Papa ha detto che la chiesa accoglie tutti – anche i degenerati (in riferimento all’aborto) – qualcuno non ha detto che nessuno, men che meno sua santità, aveva il diritto di esprimere giudizi sulle scelte degli altri? Perché nessuno gli ha fatto notare che se Dio accoglie tutt*, evidenziare una parte di questa moltitudine come divergente significa automaticamente classificarla e creare dei credenti meritevoli e altri che lo sono di meno? Perché il discorso si è andato a incastrare in labirinti teologici e – lasciatemelo dire, semplicistici – che proprio Papa Francesco aveva dichiarato inizialmente di voler sviare? Il ventunesimo secolo non vuole fare la guerra a tutti i costi alla chiesa cattolica ma pretende delle risposte che la chiesa ha paura di dare perché l’orologio della civilizzazione batte il tempo della sua fine.
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Benedetta Vicanolo