L’età vittoriana è nota soprattutto per i consistenti cambiamenti sociali e culturali che hanno interessato il Regno Unito dalla metà dell’Ottocento ai primi del Novecento. Un periodo caratterizzato da rigore e progresso, puritanesimo ed evoluzione, tradizione e modernità. L’altra faccia di un’epoca cosi razionale, tuttavia, è individuabile in ambito artistico. È proprio durante il lungo regno della Regina Vittoria, infatti, che si sviluppa una particolare corrente pittorica, denominata fairy painting.

Come il suo stesso nome suggerisce, si tratta di dipinti che rappresentano elementi sovrannaturali, dai goblin ai folletti, ma con una spiccata predilizione per le fate. La scelta, da parte degli artisti del tempo, di rendere queste creature eteree e fascinose le protagoniste delle loro opere sembra stridere, almeno in apparenza, con i valori e le credenze del secolo. Il legame tra tali soggetti, la longeva sovrana inglese e il contesto socio-culturale da lei promosso, però, è molto più stretto di quanto si possa pensare.

Fairy painting: nascita e influenze

fairy painting
Titania Sleeping di Richard Dadd, tra i principali pittori che si dedicarono al fairy painting

Dalla fine dell’epoca georgiana, terminata con la morte di Re Giorgio III, il fairy painting prese sempre più piede tra pittori e illustratori. Pur avendo alle spalle studi e vissuti diversi tra loro, moltissimo giovani artisti si itrovarono riuniti da questo particolare genere. Fonte d’ispirazione principale, per essi, era la letteratura, specialmente William Shakespeare. Il Bardo aveva dato vita in più di un’occasione a celebri fate, dalla Regina Titania di Sogno di Una Notte di Mezza Estate ad Ariel, spirito dell’aria ne La Tempesta, e loro attingevano a piene mani dalla sua bibliografia.

Parallelamente, nacque la figura del folklorista, che riuniva le vecchie storie di fate, folletti, brownie, goblin, affinché non andassero definitivamente perdute. Oltre a queste raccolte, anche la nascita di nuove opere letterarie feeriche e la traduzione di racconti da altre lingue (come con le fiabe dei Grimm), nonché la rinnovata sensibilità verso il folklore del Regno, come, ad esempio, il lavoro di Thomas Crofton Croker, accrebbero lo sviluppo di illustrazioni e copertine con le stesse suggestioni.

L’età vittoriana, tra sovrannaturale e realtà

I vittoriani erano molto attratti dal sovrannaturale: fantasmi, vampiri, angeli e demoni vari. Le fate si discostavano da questo contesto, non essendo in alcun modo riconducibili al mondo dei morti. Al contrario, esse rappresentavano un mondo antico, rurale e a contatto con la natura, al quale l’uomo moderno aveva rinunciato in favore delle novità, ma che ricordava con nostalgia. Un universo fatato e fiabesco, dunque, era un mistero irresistibile per una popolazione disincantata e ormai poco avvezza al sogno o alla fantasia. L’esistenza di spiritelli e affini, tuttavia, non strideva con le scoperte scientifiche del secolo ma, anzi, erano una sorta di anello di congiunzione tra più di una specie, in congiunzione con la nuova Teoria dell’Evoluzione.

Il locus amoenus abitato dalle creature del bosco, invece, era in forte contrapposizione con l’amara realtà delle grandi città inglesi. Londra, ma non solo, era sporca, puzzolente e sovraffollata. I fumi industriali e i cattivi odori urbani formavano blocchi di nebbia densa e nauseabonda, che rendevano l’aria poco salubre. Per questo motivo, immaginare e dipingere qualcosa di diverso dai palazzi, dalle fabbriche e dalla deludente quotidianità, era un modo per evadere dagli oneri della vita vera, almeno con la mente.

Fairy Painting: i principali pittori

La fine del XVIII secolo segnò l’origine del Romanticismo, che rinnegava la statica razionalità dell’Illuminismo. In quello stesso periodo il pittore Johann Heinrich Füssli, conosciuto come Henry Fuseli, si dedicò a una forma primordiale di fairy painting, che fu poi seguito e imitato da diversi artisti. Tra questi, spiccava William Blake, fautore di una particolare e personale mitologia, trasposta sulle sue tele. Blake era convinto di aver avuto un incontro ravvicinato con le fate. «Nell’aria c’era qualcosa di più dolce del solito e quando un fiore si mosse una processione di creature dell’altezza di un filo d’erba sfilarono portando una foglia di rosa, sulla quale giaceva un corpo»-dichiarò- «Era quello di una loro simile e lo celebrarono con delle canzoni, poi disparvero. Era il funerale di una fata».

In piena epoca vittoriana, i principali fairy painters furono Robert Huskisson e Richard Dadd, che si cimentarono con soggetti shakespeariani. Le loro fate, nude e delicate, rappresentavano un erotismo sensuale, ma non volgare, esorcizzato da usi e costumi di quegli anni. Tra i Preraffaeliti, invece, John Everett Millais, Dante Gabriel Rossetti e William Hunt, ma anche John William Waterhouse, attivo quando il circolo era stato già chiuso, si dedicarono al fairy painting, in linea con la poetica del gruppo. L’unione con la natura, la bellezza eterea e intangibile, il labile confine tra astratto e concreto; le fate, celestiali fanciulle dalle fattezze umane, ma dallo spirito ultraterreno, incarnavano perfettamente quell’emozione, quella magia del passato che rischiava di perdersi con l’avvento del futuro.

Federica Checchia

Seguici su Google News