Fallimento dichiarato per la storica azienda del pandoro.
La causa? Un pesante indebitamento di circa 50 milioni di euro. Il Tribunale ha accolto l’istanza presentata venerdì dal pubblico ministero, constatata la pesante situazione debitoria della Melegatti.
I dipendenti dell’azienda, tra diretti e lavoratori stagionali, sono 350. Gli stessi lavoratori hanno rivolto un appello al giudice del Tribunale. Con un’inserzione a pagamento, avevano chiesto di separare il giudizio sulle responsabilità degli amministratori da quella delle loro famiglie.
Anche perché da un anno c’è un interesse da parte del Fondo americano D.E. Shaw & C. Il Fondo aveva, infatti, presentato un piano di salvataggio ed un investimento di 20 milioni di euro per rilanciare la società.
Così come non si sono concretizzate le ipotesi di aiuto anche da parte del fondo maltese Abalone e del marchio trevigiano di caffè Hausbrandt.
Un fallimento atteso. Negli ultimi mesi la dirigenza di Melegatti non è riuscita a produrre un piano sostenibile per la ristrutturazione del debito.
A nulla sono valse le tante mobilitazioni per salvare l’azienda. Campagne a favore, pubblicità. Venne anche organizzata una festa di Natale nel segno della solidarietà dei lavoratori che rischiavano il posto. Appelli online “Sostieni Melegatti” vennero condivisi in tutta Italia. Tutto per scongiurare l’incubo fallimento.
Insieme alla Melegatti è stato dichiarato il fallimento anche della Nuova Marelli, controllata da Melegatti dal 2011.
Ora, si prospetta il prossimo Natale senza più il tipico pandoro di Verona.
Correva l’anno 1894 quando Domenico Melegatti, prendendo spunto da una ricetta natalizia tradizionale di Verona, aveva inventato il “pandoro”, alternativa al panettone. Ne escogitò la tipica forma a cono con otto punte.
Il 14 ottobre dello stesso anno, il Ministero dell’Agricoltura e Commercio del Regno d’Italia assegnò a Domenico l’attestato che riconosceva il brevetto per la produzione del pandoro.
Patrizia Cicconi