Nel 1720, a Napoli andava in scena la serenata Angelica e Medoro, di Nicola Porpora su libretto di Pietro Trapassi, alla sua prima prova teatrale. Lo spettacolo fu un successo. Il merito era anche di un altro esordiente, di un quindicenne, che rispondeva al nome di Carlo Broschi, in arte Farinelli.

Come Carlo Broschi divenne Farinelli

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Nato ad Andria da una famiglia agiata della noblesse de robe locale. Il padre, appassionato di musica, volle indirizzare entrambi i figli a professioni del settore, facendo studiare il maggiore da compositore e Carlo da cantante. Fu probabilmente il fratello a volere per Carlo la castrazione, eseguita poco dopo la morte del padre, avvenuta nel 1717. La castrazione è un’operazione chirurgica che, se effettuata prima dello sviluppo puberale, consente ai maschi di poter conservare la propria voce di soprano o contralto.

Il giovane fu mandato a Napoli, per studiare canto con Nicola Porpora che curò l’affinamento del suo naturale talento di soprano. La sua tessitura vocale potrebbe più correttamente essere definita di mezzosopranista molto esteso, sia verso il basso, fino a toni da contralto profondo, sia verso l’alto dove arrivava, nei vocalizzi, a toccare il do5, nota da sopranista effettivo.

Gli studi affrontati da Carlo Broschi sono estremamente difficili e articolati. Sei anni basati sullo studio del solfeggio, l’intonazione perfetta e la rapidità nel cambiare il ritmo della frase musicale. Ma la cosa più difficile era quella di acquisire la totale e assoluta padronanza degli abbellimenti, anche i più rapidi e improvvisi, pane quotidiano dei virtuosi, sui quali si fondava la loro fortuna o il loro insuccesso.

All’epoca era obbligatorio, per chi intendeva intraprendere la carriera di cantante, scegliere un nome d’arte. Un nome che poteva esprimere o significare diverse cose, conferendo all’artista una certa personalità e farlo distinguere dagli altri. Una sorta di marchio di fabbrica che doveva dare l’idea del personaggio e aiutare a farlo ricordare e a metterlo in mostra.

Carlo scelse il nome di Farinelli. Sull’origine del nome d’arte ci sono tre ipotesi: la prima che derivasse dalla professione del padre, il quale però mai esercitò la professione di mugnaio, né commerciò mai in farina, grano o granaglie.

La seconda ipotesi vede l’associazione del nome alla famiglia Farinel, violinisti e compositori provenienti dalla Francia e in Italia girovaghi per tendenza e necessità.

La terza ipotesi, quella più accreditata, l’associazione con la nota famiglia di avvocati Farina, uno dei quali lo protesse e probabilmente lo finanziò durante il periodo in cui studiava col Porpora a Napoli. Questa ipotesi trova riscontro nello scritto di Padre Giovanni Battista Martini: «...si spostò in Napoli e sotto la direzione di Niccolò Porpora apprese l’arte del canto ed ebbe la protezione d’uno dei primi avvocati di Napoli, chiamato Farina.»

Il debutto e la fama

Il suo debutto avvenne a Napoli, nel 1720, nella serenata “Angelica e Medoro” al fianco di Marianna Benti Bulgarelli, detta la Romanina, di Domenico Gizzi, Musico Soprano della Real Cappella e del Contralto Francesco Vitale. La serata era in onore dell’Imperatrice d’Austria. Riscosse un ottimo successo e le successive esibizioni gli valsero una crescente rapida notorietà.

Nella stagione del Carnevale del 1722 fece il suo esordio a Roma cantando, nel Teatro Alibert, nel dramma “Sofonisba” del bolognese Luca Antonio Predieri ed nel “Flavio Anicio Olibrio” di Porpora. Farinelli è di nuovo a fianco di Domenico Gizzi e di Francesco Vitale. Nel 1723 e nel 1724 fu nuovamente a Roma per le trionfali Stagioni di Carnevale, sempre al Teatro Alibert, in produzioni di assoluto prestigio: “Adelaide” di Porpora nel 1723 e “Farnace” di Leonardo Vinci nel 1724. Negli anni successivi cantò anche a Vienna, Venezia, Milano e Bologna.

Le sfide di Farinelli

Il pubblico del tempo adorava il virtuosismo di Farinelli che consisteva nell’esecuzione di variazioni arbitrarie ai brani cantati, in cui l’aspetto della difficoltà tecnica estrema arricchiva la pura espressione dei sentimenti della musica. Erano molto frequenti “duelli” tra musicisti.

Nel 1722, a Roma, ogni sera si svolgeva una gara tra un famoso esecutore di tromba che accompagnava col suo strumento un’aria cantata dal Farinelli. Sembrò sulle prime un gioco, di carattere puramente sportivo, fino a che il pubblico incominciò ad interessarsi alla contesa. Dopo che ognuno ebbe emessa una nota per dar prova della forza dei propri polmoni tentando di superare il rivale in vivacità e in potenza, eseguirono insieme un crescendo ed un trillo a distanza di una terza e lo sostennero a lungo. Il pubblico ne attendeva la fine poiché entrambi sembravano esausti. Alla fine il suonatore di tromba, sfinito, cedette, convinto tuttavia che il suo antagonista fosse altrettanto stanco e che tutto si sarebbe concluso in parità. Ma la cosa non andò così! Farinelli aveva vinto la sfida sulla tenuta lunga di una nota altissima.

A Bologna, qualche anno dopo, sorse la competizione con Antonio Maria Bernacchi, uno dei più importanti castrati della scena musicale. In realtà, oltre alla forzatura spettacolare, non vi fu antagonismo fra i due, tanto è vero che lo stesso Bernacchi, di una ventina d’anni più anziano, fu ben prodigo di consigli e suggerimenti verso il giovane Farinelli. La vittoria su Bernacchi, incrementò notevolmente la fama di Carlo Broschi, la cui attività divenne frenetica.

Farinelli a Londra e Madrid

Nel 1734, Carlo Broschi si trasferì a Londra e cantò presso l’Opera della Nobiltà al Lincoln’s Inn Fields, che era diretta da Porpora. La sua fama era immensa, e i proventi che ottenne nei tre anni in cui soggiornò in Inghilterra superarono le 5.000 sterline. Era all’apice della sua gloria come artista. Erano anche gli anni della rivalità tra due gruppi teatrali: quello di Händel, sostenuto da re Giorgio II, e quello di Porpora, sostenuto da Federico principe di Galles.

Qualche anno dopo, stanco delle incessanti acredini che opponevano i due gruppi teatrali, Farinelli accettò l’invito di Elisabetta Farnese, moglie di Filippo V di Spagna. Durante il viaggio passò per la Francia, e cantò per Luigi XV.

Il re spagnolo soffriva di nevrastenia e malinconia. La regina Isabella invitò Farinelli ad esibirsi davanti al marito, nella speranza che potesse risvegliarlo dall’apatia. L’episodio contribuì ad accrescere la leggenda che circondava il cantante. La voce di Farinelli fece effetto su Filippo V, che non volle più separarsi dal cantante. Ogni giorno il “castrato” cantava sempre le stesse otto o nove arie.

Divenuto criado familiar dei re di Spagna, il cantante vide la sua importanza crescere con l’ascesa al trono di Ferdinando VI di Spagna, che lo nominò cavaliere di Calatrava. A Farinelli si devono i primi lavori di bonifica del Tago, e diresse l’opera di Madrid. Inoltre utilizzò il suo potere persuadendo Ferdinando a instaurare un teatro d’opera italiano. Rispettato e sommerso di doni, adulato sia dai diplomatici avversi alla Francia, sia da quelli francesi che avrebbero voluto vedere la Spagna firmare il Patto di famiglia, conservò questa posizione di rilievo fino all’avvento di Carlo III, che lo allontanò nel 1759.

Il ritiro a Bologna e la morte

Farinelli si ritirò allora a Bologna, e morì nella villa che aveva fatto costruire in vista del suo ritiro. Malgrado le numerose visite che ricevette, Farinelli soffrì fino alla morte di solitudine e di malinconia.

Morì il 15 luglio 1782 lasciando una collezione d’arte e di strumenti musicali sfortunatamente dispersa dai suoi eredi, tra cui un violino di Antonio Stradivari. Malgrado la leggenda, resta un personaggio misterioso. La lastra tombale è visibile nella Certosa di Bologna.

Alessandro Carugini

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