Troppo spesso sentiamo parlare di femminismo intersezionale. Questo è un bene, ma vediamo di capire nel dettagli di cosa stiamo parlando.
Parliamo di femminismo intersezionale.
Ad introdurlo per la prima volta nel 1989 fu laprofessoressa di legge, nera e femminista Kimberlé Williams Cranshaw. Il femminismo intersezionale é un tipo di femminismo.
Il femminismo intersezionale si basa su un copncetto portanto, quello dell’inclusione. Lo stesso attributo “intersezionale” ci aiuta a comprendere bene il punto di partenza. Ovvero la teroia secondo cui tutte le discriminazioni siano collegate. Vediamo insieme che cos’è e cosa significa, attraverso la sua storia e una definizione.
Storia breve del femminismo
La storia ufficiale del femminismo inizia nell’Ottocento ed è stata divisa in tre diverse fasi – dette “ondate” – che corrispondono ad altrettante generazioni di donne decise a battersi per i propri diritti. Ogni ondata ha portato con sé nuove priorità, nuovi metodi e nuove protagoniste.
La prima ondata, le suffragette e il diritto di voto. La seconda ondata, gli anni Sessanta. La terza ondata, gli anni Novanta, dove nasce il termine intersezionale.
Dalla Crahshaw alle altre attiviste, parliamo di intersezione
Kimberle Crenshaw voleva far capire come la discriminazione di genere ed altre (come ad esempio quella di razza, che usa nel suo esempio) non fossero due binari paralleli che non si incontrano mai. Al contrario le considera categorie che possono incontrarsi. Categorie che possono intersecarsi, appunto, creare intersezione.
Il potere del termine di rendere visibili i molteplici strati di oppressione possibili (di genere e di razza, certamente, ma anche di classe, orientamento sessuale, disabilità, religione) e di portarli al centro del dibattito ha influenzato enormemente il modo in cui oggi si parla di violenza di genere e di femminismo.
Il Femminismo intersezionale serve anche a non privilegiare un pezzo della propria identità a scapito di un’altra. Per Selam Tesfai, attivista del Laboratorio politico Cantiere, la questione sembra chiara. Il laboratorio sarebbe uno spazio con cui sviluppa e supporta pratiche intersezionali nelle scuole del quartiere San Siro a Milano,
“il femminismo intersezionale è stato una chiave di lettura per tenere insieme le lotte che porto avanti, e in questo sforzo tenere insieme anche me stessa. Ho smesso di pensare, anche inconsciamente, di dover scegliere tra istanze antirazziste e femministe e ho iniziato a pensare a come praticare lotte che non mi facessero rinunciare a, o mettere in secondo piano, una parte di me.”
Selam Tesfai
Che cos’è il femminismo intersezionale: storia e differenze col femminismo classico
Il termine femminismo intersezionale fu introdotto per la prima volta nel 1989 dalla professoressa di legge, nera e femminista Kimberlé Williams Cranshaw. La sua teoria sull’intersezionalità ebbe inizio proprio da una critica al femminismo classico, definito eurocentrico.
Il femminismo classico prendeva in considerazione l’idea che tutte le discriminazioni subite dalle donne fossero dettate soltanto dal loro sesso.Invero, per una donna nera, la situazione era certo molto diversa, in quanto questa era discriminata non solo per la sua identità di genere ma anche per la sua etnia e il colore della sua pelle.
Pertanto non si poteva comprendere la discriminazione e l’oppressione delle donne nere considerando solo il genere o solo l’etnia: le due categorie si intrecciano, di qui si genera l’intersezione.
Questo tipo di ragionamento può essere applicato anche a una donna disabile, a una donna transgender, a una donna con un corpo non conforme. Ecco che vediamo le linee di queste discriminazioni sovrapporsi l’una sull’altra, rendendosi quasi irriconoscibili. Ecco che iniziamo a capire il vero senso dell’intersezionalità.
Femminismo intersezionale, il pensiero che sostiene che sia davvero inclusivo
“Il femminismo non intersezionale non è femminismo”.
Questo è il motto di molti attivistə e femministə che si battono in particolare contro il TERF (trans-exclusionary radical feminism). Come si intuisce dal nome, il femminismo TERF sarebbe il femminismo radicale trans-escludente, acronimo con cui si intende quel pensiero femminista (o sedicente tale) che esclude le donne trans dalle dinamiche femministe. Si pensa che le radici di questa deriva ideologica possano essere ricondotte al femminismo di seconda ondata, il cosiddetto femminismo radicale, di cui spero di potervi parlare presto.
La forza dell’approccio intersezionale è anche di creare solidarietà tra diverse categorie oppresse.
Categorie che per lungo tempo non si sono parlate. Fare intersezione ha lo scopo di contrastare la segmentazione della società che è invece funzionale allo status quo. Lo sottolinea Jada Bai, mediatrice linguistica e culturale sinoitaliana:
“Quando sono diventata madre ho scoperto quanto avessi interiorizzato il patriarcato e dalla mia esperienza ho provato a vedere le esperienze delle altre madri cinesi meno privilegiate di me. Tra minoranze non sempre ci si incontra o si riesce a collaborare e a me fa senso che ad esempio alcune femministe siano contro il ddl Zan. È come se si dicesse ‘la mia istanza è più importante’. No invece, puoi dire ‘per me è prioritaria, e la porto avanti,’ ma non è più importante di quella di qualcun altro. Tutte le lotte sono legittime e dobbiamo portarle avanti insieme. Alla maggioranza non conviene farti capire che potresti vincere, se tutte le minoranze si mettessero insieme.”
Jada Bai
Il femminismo intersezionale è bianco, è nero, è marrone, abbraccia tutti i colori dell’arcobaleno LGBTQA+, è cisgender, è transgender, non è classista, non è abilista. Il femminismo intersezionale ripudia qualsiasi tipo di discriminazione. Nasce nella terza ondata del femminismo, fiorisce nella quarta, la nostra, e ci mostra un mondo in cui l’inclusività e la rappresentazione sono fondamentali.
Articolo di Maria Paola Pizzonia
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