Indagati dalla Procura di Venezia tre fratelli bengalesi, titolari di due società che lavorano in subappalto all’interno di Fincantieri. Le indagini sono scattate in seguito a varie denunce da parte di alcuni lavoratori che si sono visti costretti a restituire tre mesi di stipendi, pena il licenziamento. 

(Foto dal web)

Il tema dei diritti sul lavoro delle ditte in subappalto non è nuovo alle cronache. Già il 12 Novembre del 2017 un imprenditore italiano veniva assolto dall’accusa di estorsione per aver costretto gli operai (in maggioranza bengalesi) a sostenere turni massacranti. Anche questa volta l’accusa è di estorsione. Nel 2016 la CGIL denunciava estorsioni e caporalato nelle ditte in subappalto Fincantieri. Il termine caporalato, solitamente accomunato al settore agricolo al sud, si presenta in queste forme al Nord. Decine di società, gestite per lo più da Bengalesi, che forniscono a Fincantieri lavoratori a basso costo, sgravando così la società italiana da qualsiasi responsabilità. Infatti ad oggi risulta che Fincantieri fosse all’oscuro di questi meccanismi, tutti interni alle società in subappalto.

Le perquisizioni della Guardia di Finanza hanno evidenziato come la documentazione sia formalmente in regola, ma i lavoratori che hanno sporto denuncia riportano una realtà ben differente. Fino a 13 ore di lavoro, con paghe che si aggirano intorno ai 5 euro l’ora. Un misero stipendio che in qualche caso non arriva al lavoratore, estorto dai presunti manager di queste presunte società. I fatti mettono sotto i riflettori la comunità bengalese, una presenza sempre più significativa in italia. Un immigrazione silenziosa ma molto appariscente, tutti hanno notato il proliferare dei negozi di frutta e verdura gestiti da bengalesi.

Chi non viene “inglobato” in questo tipo di attività, cade nelle mani di connazionali (o italiani) senza scrupoli, sempre bisognosi di operai a basso costo. In questo modo possono permettersi di avere costi concorrenziali da presentare alle gare di subappalto. Un “Caporalato 2.0”, molto diverso da quello che caratterizza il sud. Le immagini degli africani in fila all’alba, in attesa di essere scelti dai caporali per una giornata di lavoro nei campi, viene sostituita da regolari società. Società che dietro i conti apparentemente in ordine e documentazione impeccabile, spesso nascondono lo sfruttamento selvaggio dei propri lavoratori.

 

Operai che per giunta si ritrovano a dover lavorare con gli operai di Fincantieri (sempre di meno) con una paga più alta e maggiori diritti. Ciò può scatenare la rabbia e spingere a denunciare, esattamente quello che è successo a Marghera. Per rompere questo muro di silenzio è servita la denuncia di alcuni operai bengalesi che si sono visti trattenere lo stipendio. Non si può sperare di combattere questo “sistema” solo con le denunce di qualche disperato messo al muro da questi caporali. L’uso delle parole è importante, come per anni non si poteva parlare di Mafia al nord, adesso il caporalato è associato solo al settore agricolo. Speriamo non occorra così tanto tempo per capire che questo vigliacco sistema si estende ad altri settori, ben più remunerativi.