Florian Schneider, il profeta delle distorsioni elettroniche

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Di Redazione Metropolitan

La notizia della morte di Florian Schneider, una delle due menti (insieme a Ralf Hütter) dietro ad un progetto musicale che è avvio e insieme colonna portante di quel grande bagaglio che è la musica elettronica, ha scosso l’intero mondo della cultura.
Ogni pezzo della storia dei Kraftwerk non rimane a sé stante ma va a costituire in parallelo la storia dell’evoluzione del genere e influenza moltissimi artisti anche nei decenni successivi. Ripercorriamo brevemente i motivi per cui questo gruppo è stato così vitale per la musica.

Florian Schneider – La produzione degli strumenti

Siamo nella Germania degli anni ’70, i Kraftwerk sono ancora un’idea acerba, lontana dai suoni che hanno reso così grande la band. Nata dai due amici Florian Schneider e Ralf Hütter, la band produce krautrock nei primi due album, “Kraftwerk” (1970) e “Kraftwerk 2” (1972). Nel secondo dei due album iniziano le vere sperimentazioni con l’uso di strumenti elettronici che vengono studiati e sperimentati dallo stesso Florian Schneider. In Ralf & Florian (1973) l’inizio della collaborazione con il pittore Emil Schult e l’uso di percussioni a pad tracciano un primo solco verso la direzione definitiva del gruppo, che però arriva nel 1974 con “Autobahn“.

Il singolo “Autobahn” la cui durata originale supera i 22 minuti.

Un primo elemento che contraddistingue il successo del gruppo è proprio la tendenza a creare non solo la musica dunque, ma gli strumenti stessi con cui produrla. Mentre la formazione della band si arricchisce di componenti e varia negli anni, si dà il via a “Radio-Activity” (1975) primo disco prodotto internamente dalla band e in cui vi è il solo e puro utilizzo di strumenti elettronici. Si abbandonano così violino, chitarra e flauto (lo strumento iniziale di Schneider, rimaneggiato per modulare il suono e renderlo simile ad un basso). A questo primo concept album ne seguono altri tre, “Trans Europe Express” (1977), “The Man Machine” (1978) e “Computer World” (1981) scritto nel periodo del boom dei primi computer.

Gli ultimi tre album in studio vedono un cambio di collaboratore grafico: a Emil Schult subentra infatti Rebecca Allen che realizza un video per il singolo “Musique Non Stop” contenuto nell’album “Electric Cafè” (1986). Seguono, infine, “The Mix” (1991) e “Tour de France Soundtracks” (2003): per il tour di quest’ultimo, i Kraftwerk si esibiscono utilizzando pc portatili con sequencer e synth virtuali installati.

I concetti e l’estetica dei Kraftwerk

Da “Autobahn” in poi, i titoli degli album della band tracciano un filo logico anche nelle tematiche. I vari concept album fanno pensare ad entità o temi che sembrano non toccare l’emotività umana, questo grazie ad un crescente studio di suoni elettronici che puntano ad essere glaciali, precisi, ed un’estetica che rende inconfondibile la band, i cui componenti si presentano ai live come dei robot vestiti tutti nello stesso modo, un racconto personificato della fusione tra uomo e macchina ancor prima di iniziare a suonare.

L’iconografia e l’impostazione del suono, oltre che il nome stesso della band (Kraftwerk significa “centrale elettrica”) sono tutti elementi che rendono definitiva la grandezza di questo gruppo, dove il visionario Florian Schneider insieme all’amico Ralf Hütter in realtà non lasciano fuori l’entità umana dal loro concept artistico, bensì si fanno precursori di tempi tecnologicamente avanzati come quelli che stiamo vivendo oggi, raccontando l’interazione dell’uomo con la tecnologia; tutto ciò con suoni futuristici, dal respiro fortemente innovativo.

Florian Schneider Kraftwerk
I Kraftwerk live. Credit:Irishnews.com

L’eredità

La visionarietà della band ha avuto una grande fortuna, i loro suoni sono stati ripresi da molti altri artisti dagli anni ’80 in poi e trasportati in altri sottogeneri di musica elettronica, David Bowie ha dichiarato di averli come band preferita e ha dedicato il brano prettamente strumentale “V-2 Schneider” a Florian Schneider. Dalla new wave al synth-pop passando per l’hip-hop e giungendo alla techno, davvero tanti sono i generi influenzati dai suoni elettronici trasversali dei Kraftwerk; di questi hanno beneficiato anche artisti del calibro di Chemical Brothers, Daft Punk, Joy Division (ed ancor più i successivi New Order), Depeche Mode, Ultravox, Human League e perfino il pop dei Coldplay (nel brano “Talk“).


Francesca Staropoli