
“A Londra, per “Fahrenheit“, stavo come in castigo: ho vissuto sei mesi all’Hilton senza prendere neanche un pasto fuori della mia stanza. Veniva a prendermi una macchina per portarmi allo studio. Quando sono tornato a Parigi, tutti mi chiedevano: ‘Allora? Dicono che Londra sia fantastica. E’ vero?’ Non avevo il coraggio di dire: ‘Esco adesso dall’Hilton‘.” Dalle sue stesse parole, capiamo che sarà difficile improvvisare un ricordo di lui, regista, produttore, attore e, da principio, critico cinematografico. “I libri di memorie sono così strani, perché nel corso della nostra vita, noi diventiamo tante persone differenti“. A dirlo è Francois Truffaut.
Tutto parte, come sempre nella vita o nel cinema di Truffaut, da un’impulso sanguigno, carico di contrarietà. Nessuno rappresentò meglio di lui la vita quotidiana. Scrittore dei “misteri criminali” e regista “visionario”, prediligeva la forza delle immagini a tutto. “Volevo davvero filmare i libri come cose vive“. Non a caso, tra le cose che detestava quando faceva il critico cinematografico, c’erano i film di fantascienza. Nei suoi film horror, macchiati di giallo, c’è l’apparente calma quotidiana: la persona che sarà assassinata, ci viene presentata mentre si prepara il caffè, si fa la barba o legge il giornale. Il sereno prima della tempesta, e un terrificante e inatteso momento, proprio dietro l’angolo. La quiete che anticipa il misfatto è una maschera. La perfezione copre il terrore che sta per incombere. Il segreto è che, i migliori horror, nascono dalle persone sensibili. Sono il prodotto di un animo candido.
Truffaut e la paura nella porta accanto
Cullato dall’iniziale tranquillità, lo spettatore, penserà di aver sbagliato film. Capirà, ben presto, che il dolce trastullo era profondamente anormale. Che la serenità insinuata nella sua mente, sarà passeggera. Un meccanismo, congeniato ad arte, che scava nei meandri dell’animo umano. Stimolando l’angoscia dal suo letargo. Questo il marchio dell’autodidatta Truffaut, il regista che meglio interpreterà i sentimenti umani. La sua specialità: l’arrivo di quel momento forte, che lascia sorpresi ed impietriti. Con quel gusto sopraffino del paradosso: far accadere il contrario di ciò che ci si aspetta. Il colpo di scena, che arriva spontaneo, senza preavviso. Il “Ti pigliasse un colpo”, in un’unica spiegazione.
Francois Truffaut, non un semplice giallista, o un comune scrittore di storie poliziesche. “Avevo chiesto di entrare nel servizio cinematografico dell’esercito”. Stravagante e creativo anche in divisa militare, fu riformato con una motivazione non troppo onorevole: instabilità caratteriale. Quella emotività della persona, è la stessa che si ritrova nei suoi film. La camerata, in caserma, si trasformò, così, in biblioteca. Si fece laboratorio letterario, e ruberà le sue braccia alle armi.
Francois Truffaut, dilettante solo in amore
Il suo cinema, saprà di giorni di reclusione, perché diciottenne venne arrestato per diserzione, di libertà impedita, di visioni negate. Atmosfere prorompenti, in “I 400 colpi“, “Fahrenheit 451” o “L’ultimo metrò“. Non capace di restare soltanto dietro la macchina da presa, apparirà come attore in diversi suoi film. Interpretando brevi camei, in “Effetto notte“, “La camera verde” e “Il ragazzo selvaggio“. “Jules e Jim“, sarà ostacolato dalla censura, colpa di un triangolo amoroso di troppo. Proibito ai minori di 18 anni, in Italia rischiò di non essere distribuito. Uscì nelle sale solo grazie all’intervento di Roberto Rossellini, Alberto Moravia e Dino De Laurentis. A differenza di “Antoine e Colette“, dove si racconta l’amore dei vent’anni, che verrà applaudito.
Si può morire d’amore nel cinema di Truffaut? Assolutamente si. L’amore è fatale, è un triangolo, è ossessivo, è incontro tra Eros e Thanatos. Il regista, è anche un “seduttore compulsivo non appena cala la sera”. Al di là del suo stesso pensiero: “gli uomini sono dei dilettanti in amore”. Scopritore di talenti, pigmalione, mecenate del gentil sesso, s’innamora di tutte le protagoniste dei suoi film. Da Fanny Ardant, con cui girò “La signora della porta accanto” e “Finlmente domenica“, ebbe una figlia. La scelta delle protagoniste femminili, verte sempre sulle bionde e sofisticate. Un mantra che Truffaut, apprende dal suo ammirato maestro Hitchcock. Come la repulsione nei confronti delle attrici Brigitte Bardot e Marilyn Monroe. Che, per usare le stesse parole, incredibili e puritane di Truffaut, “avevano il sesso stampato sulla faccia“.
Cosa arde in Truffaut…
“Fahrenheit 451“, è il grado a cui avviene la combustione della carta. La temperatura che occorre per disintegrare i libri. Due forze si scontrano nel film: il fuoco, virtù naturale e primaria, e il libro, potere culturale. Tra fiamme, visioni apocalittiche, pompieri piromani che considerano i libri proibiti e li distruggono. Per poi cedere alla tentazione di scoprire cosa contengano, quegli oggetti tanto pericolosi, che devono essere bruciati. Tramandandoli, imparandoli a memoria! E’ il primo film a colori di Truffaut. I titoli di testa non vengono scritti, volutamente. Bensì recitati da una voce fuori campo. Per lasciare come unici scritti, proprio i libri. Fu un film scommessa. Da capire. Che nasce dal vissuto con la madre: “Essa non sopportava i rumori e mi chiedeva di non muovermi, senza parlare per ore. Dunque leggevo, la sola occupazione che potevo adottare per non farla inquietare“.
Elegante, misurato, dalla mano leggera, anche quando defunti e cattive intenzioni imperversano. Truffaut, riesce a fare una trama misteriosa, pervasa da malessere ed amarezza. Con quel batticuore, che emerge e non ti lascia. Poco simile a quello degli innamorati. L’ansia ti conosce, ignaro e attento spettatore. Ti tocca sulla spalla, ti avvisa della sua venuta. Una sensazione, a volte, poco divertente, che solo un appassionato del genere horror, tinto di giallo, può sopportare; un irriducibile amante del panico, disinvolto anche con il nodo in gola. Per chi, i peli dritti, saranno solo, quelli persi dal gatto sul tappetto.
Federica De Candia per MMI e Metropolitan Cinema