George Miller è tornato. E mamma mia con che forza. Miller è ritorna a raccontare la sua creatura e il suo mondo apocalittico, attraverso un prequel che vale la metà di Mad Max: Fury Road. Ma, in questo caso, non potrebbe esserci complimento migliore. Quella di Furiosa era l’unica strada percorribile per evitare – o per lo meno scacciarne il più possibile – qualsiasi tipo di confronto che, inevitabilmente, non reggerebbe. Perché Furiosa è fatto, si, della stessa materica forza del precedente, ma decide di solcare la propria strada fatta di crescita, vendetta e narrazione appena accennata attraverso una scrittura brillante. È evidente che il fondo di Fury Road ci sia, in ogni elemento. Ma qui assume un gusto diverso, né migliore né peggiore. A partire dal primissimo inseguimento, quasi Hawksiano per la lentezza e il tempo impiegato ma che resta, pur sempre, un inseguimento.

Furiosa: A Mad Max Saga si accolla il compito di raccontare ed espandere il mondo post apocalittico solamente accennato in Fury Road. E, ovviamente, lo fa attraverso azione sfrenata, senza regole, anarchica. Rendendo quella stessa azione istanza narrativa, motivo narrante e forma del racconto. E lo fa, in parte, allo stesso modo di Fury Road: azzerando qualsivoglia forma attiva del(la) protagonista, eletta a solo simulacro utile allo sforzo d’azione. Tutto così armonioso e magnificamente orchestrato.

Furiosa: A Mad Max Saga: grammatica

Furiosa: A Mad Max Saga – Anya Taylor-Joy in una scena del film

Il film si apre con Furiosa, bambina che vive in un imprecisato eden terrestre in cui la devastazione non sembra essere arrivata, che viene rapita da dei predoni arrivati lì per caso. E inizia così il primo inseguimento del film, nel tentativo della madre di liberare la figlia. La pellicola poi si sviluppa attraverso tre capitoli distinti: infanzia, crescita e vendetta. In questo contesto, la figura di Anya Taylor-Joy arriva solo a circa un’ora nella narrazione, dato il racconto precedente del suo personaggio da bambina. E la sua presenza è brillante ed adattissima al contesto Milleriano. La sua parabola si sviluppa solo attraverso la corporeità, raramente tramite il dialogo. Ma è un basso continuo di tutto il film quello della poca presenza di dialoghi. Gli unici momenti in cui si parla di più sono quelli in cui si amplia il mondo di Mad Max, attraverso giochi politici e di controllo.

Ma per il resto, Furiosa: A Mad Max Saga respira e parla il linguaggio di George Miller. Quello fatto di inseguimenti, esplosioni e un modo di intendere la camera di cui – veramente – solo lui è capace. Perché anche (tutta) la tecnica di Miller è al servizio dell’azione. Zoom, primi piani, pan e movimenti di macchina così come il montaggio stesso, sono funzionali alla narrazione dell’azione, diventano elementi costitutivi dell’action più puro. Un modo di intendere il cinema che solo George Miller riesce a dare.

Rivalsa e riscatto action

La cosa sorprendente di Furiosa è che, nonostante sia puro action, è una delle pellicole meglio scritte di quest’anno. Tutto è sincronizzato alla perfezione, come un metronomo che detta i tempi a cui azione e respiro devono viaggiare. Un viaggio asincrono che non stanca mai e non smette di stupire, perché non ripete mai sé stesso. Le trovate di Miller sono ogni volta sorprendenti e non banali, a partire dal personaggio di Hemswort, calato perfettamente nel mondo e nei panni di Dementus. O anche la Furiosa di Anya Taylor-Joy, tanto diversa da quella di Charlize Theron ma a ragione veduta. Più affabile e minuta, quasi più dolce di quella vista in Fury Road. Ma l’elemento più sorprendente resta quel finale. Miller non scade nella semplice e banale dicotomia della donna che vince contro l’uomo ma eleva il discorso. Lo trasla su di una vittoria biologica, di rivalsa femminile nella natura, nel concreto della terra. Simbolo di una scrittura ricercata quanto nascosta e invisibile.

Alessandro Libianchi

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