Gary Brackett, intervistato da MMI: dal Living Theatre al SatiePandemie. L’influenza di Antonin Artaud e della danza Butoh, la nascita di PerForm a Trieste.
Attore, produttore e pittore tra i più conosciuti nella produzione underground newyorkese dei primi anni ’80, Gary Brackett è nome di spicco del Living Theatre di New York, il collettivo anarchico pacifista nato nel 1947 da Judith Malina e Julian Beck, ispirato al Teatro della crudeltà di Antonin Artaud. Per loro, con cui lavora dal 1989 per una ventina d’anni, dirige opere del repertorio quali Sette meditazioni sul sadomasochismo politico, Mysteries and Smaller Pieces e Non nel mio nome. Suo il riadattamento di Non c ‘è più firmamento di Artaud e il più recente Green Terror.
Ma Brackett è anche esperto di biomeccanica e istruttore di yoga, si è formato alla prestigiosa Jivamukti Yoga School fondata da Sharon Gannon e David Life. Quando lascia la compagnia americana nel 2009, decide di fondare l’associazione culturale dedicata al Living Theatre, a Trieste, accanto alla compagna Eleonora Cedaro. Qui, dal 2010 porta avanti le stesse tematiche lavorando soprattutto con i più giovani. Del 2014 invece, la fondazione di FormArt Asd dove lo yoga viene insegnato insieme alle arti performative e alle suggestioni della danza Butoh.
Iniziamo dal tuo incontro con il Living Theatre di Judith Malina che risale, mi pare, alla fine degli anni’80..
“E’ stato decisivo l’incontro con l’attore Rain House, che ci lavorava, presentatomi da un’amica. Lui mi ha mostrato del materiale del Living Theatre che mi ha subito affascinato, sia per l’idea di anarco-pacifismo, sia perché si trattava di un teatro politico dove forma teatrale e forma politica coincidono. Nel 1989 sono partito per New York, nell’ East Village, da Judith Malina.
Il marito e cofondatore Julian Beck era morto da poco, io ho lavorato per lei e la compagnia come tecnico, scenografo e ho continuato fino al 2009. Da quel momento in poi qualcosa nell’entourage di Judith era cambiato, il clima non era più lo stesso e ho preferito muovermi per conto mio, sempre portando avanti la poetica e l’estetica del living in una prospettiva di sperimentazione legata a tematiche sociali e politiche”.
Come è cambiato il Living Theatre dagli anni’80, quando sei entrato a farne parte tu, ad oggi? Cosa rimane di attuale e cosa si è dovuto evolvere?
“Il messaggio del Living Theatre, che abbraccia fin dal principio istanze di tipo politico, non è mai andato in crisi, anche se sono passati ormai tanti anni e il pubblico e la società sono cambiati. Ci sono i due aspetti, quello emozionale, a volte scioccante, ispirato al pensiero di Antonin Artaud, il cosiddetto teatro della crudeltà, che vuole ‘aggredire’ lo spettatore mettendo in gioco tutte le forme del linguaggio, oltre a quello della parola.Ma c’è anche quello cerebrale, teso a un messaggio chiaro, lineare, immediatamente percepibile dal pubblico. Un dualismo che è rimasto intatto, grazie a Judith che anche negli ultimi anni, prima della sua morte, ha prodotto almeno uno spettacolo l’anno. L’ultimo, prima di morire, è stato quello dedicato ad Edgar Allan Poe“.
Da parte del pubblico avete lo stesso riscontro di prima?
“Noi adesso stiamo lavorando prevalentemente attraverso i laboratori con le scuole e le università e c’è sempre un grande coinvolgimento. Anche se le nuove generazioni non conoscono autori come Jerzy Grotowski, io trovo comunque sempre riposte molto forti, probabilmente perché il Living Theatre, come il jazz, vive nel qui e ora. Anche se siamo immersi in un linguaggio e in un contesto sempre più tecnologico e digitale, il nostro contatto è con la persona.
Il pubblico nel Living Theatre è sempre coinvolto nella performance, questo è un altro aspetto che non cambia mai. Oltre al fatto, vorrei aggiungere, che tanta parte del teatro di oggi deve molto al Living Theatre che per primo ha creato questo tipo di spettacolo dove il pubblico è parte dello spettacolo stesso”.
Come pensate di affrontare la distanza sociale imposta dal Covid 19 per il vostro tipo di teatro?
“Adesso siamo molto impegnati in streaming con PerForm Asd che si occupa di unire arti perfomative e yoga. Abbiamo un pubblico più ristretto, di 50 persone al massimo e utilizziamo video e audio. Sicuramente è un’altra dimensione, in cui comunque preferisco di gran lunga la modalità audio. Garantisce un clima più intimo dove le sole voci senza immagini possono essere ascoltate con maggiore intensità, rispetto al video che finisce per distrarre chi ascolta e secondo me svilisce un po’ “.
A proposito di PerForm Art, cosa ci racconti di questa unione tra lo yoga e le arti performative che insegnate?
“Lo yoga, con la sua storia millenaria, è una disciplina che comprende ogni aspetto dell’essere umano e permette un lavoro sul corpo costruendo un vero e proprio tempio. Affronta il mistero della vita e della morte, il proprio ruolo nell’universo, il perché della sofferenza. E’ pratica e completa, coinvolge mente, anima e corpo. Ed è essenzialmente proiettata, come il teatro stesso, nella dimensione del qui e ora. Quando parlo di teatro, di musica, di arte, parlo anche dello yoga”.
Tu sei anche molto legato alla danza giapponese Butoh di Tatsumi Hojikata e Oshito Ohno, nata alla fine degli anni’50 del ‘900 ma che si rifà alla tradizione giapponese più antica…
“Sì. Anche la danza Butoh è molto influenzata dal pensiero di Artaud, per un teatro basato non solo sulla parola ma su immaginazione, respiro, contatto fisico. C’è una ricerca di un contatto intenso con il tempo e lo spazio e si lavora molto sull’improvvisazione. Anche qui si ritorna al tema del qui e ora, con un’apertura all’impulso del momento. Ma questo comporta anche il rischio di cadere in un precipizio se non si ha la preparazione adeguata. Il corpo deve essere pronto a questo tipo di performance ed è richiesto un duro lavoro”.
Per quel che riguarda gli eventi in programma in streaming, domenica prossima, 17 maggio, ci sarà il SatiePandémie. Di cosa si tratta?
“SatiePandémie è il progetto artistico nato per ricordare anche quest’anno la tradizione per cui al Teatro Miela di Trieste dal 1992 si festeggia il compleanno del compositore francese Erik Satie, ogni 17 maggio. L’inedita situazione di emergenza sanitaria, che ha provocato la sospensione di tutti gli eventi culturali live, paradossalmente, hanno reso questa edizione particolarmente ambiziosa e visionaria.
Perché se, com’è ovvio, il teatro non potrà aprire le sue porte agli artisti e al pubblico della città, spalancato sul mondo e senza limiti di sorta è invece il portale www.buoncompleannosatie.it. Da qui il Miela e il comitato artistico di questa edizione – formato dalla curatrice Eleonora Cedaro assieme a Sara Codutti, Anna D’Errico e Veniero Rizzardi – hanno lanciato l’iniziativa, che è stata accolta con straordinario entusiasmo a livello globale.
SatiePandémie culminerà in un live streaming che, a partire dalla mezzanotte del 17 maggio, trasmetterà l’esecuzione del brano più lungo della storia della musica, Vexations, che consiste nella ripetizione di una breve partitura per pianoforte per 840 volte, secondo l’indicazione di Satie stesso.
La performance ha una durata variabile prevista in circa 21 ore, e ai tasti bianchi e neri si alterneranno, ognuno da casa propria – da Roma, da Tokyo, da New York- tutti i musicisti che saranno stati contagiati dalla satiemania e si saranno iscritti entro la chiusura delle candidature – la lista in aggiornamento la potete seguire sul “virus rotante” su www.buoncompleannosatie.it/enroll
Per concludere una tua considerazione sulla situazione del teatro in generale, Covid 19 a parte
“Si investe poco sul teatro, il Covid ha peggiorato una situazione già grave di suo. A noi non mancano le idee ma le risorse e, in generale, si investe molto di più sul cinema, che è una forma espressiva molto meno coinvolgente per lo spettatore. Penso alla scena finale di Paradise Now (spettacolo del Living Theatre del 1968 ndr) dove gli spettatori sono portati fuori in strada dagli attori. Ecco, questa è una metafora perfetta di ciò che potenzialmente può rappresentare il teatro: un risveglio della coscienza.
Oppure, per dirla con Artaud, il teatro può essere visto come la peste, un contagio che entra in una città attraverso gli attori che a loro volta contagiano le persone. Un contagio che cambia radicalmente la vita, che mette in contatto l’uomo con l’assoluto e con Dio vincendo la paura dell’ignoto e l’abisso che questo contatto rappresenta. E’ stata questa la sfida di quell’ autore straordinario che è Artaud”.
a cura di Anna Cavallo
Per seguire il contagio e il live streaming e per altre info: info@buoncompleannosatie.it
Tel. 349 8014588 – Eleonora Cedaro, curatrice