Quinto episodio di Talking Pictures, la rubrica che da voce alle immagini. Ultimo appuntamento legato al mondo musicale con Velvet Goldmine di Todd Haynes. Il ciclo filmico musicale finisce come era iniziato: dall’analisi di una pellicola del regista statunitense. Chiudiamo con questa pellicola perchè essa analizza non un autore singolo ma pone l’accento su una un’epoca; sugli umori, i sentimenti e sulle idee della Swinging London testimoniando un apertura tematica che va al di là della semplice storia biografica.

Todd Haynes crea un opera ambigua muovendosi tra due poli contrapposti dell’arte: l’artista e il fruitore. Brian Slade (Jonathan Rhys Meyers) è l’istrionico cantante che riesce a rivoluzionare il panoramica musicale inglese. Contrapposto a lui ci sono i suoi fun. Tra di loro Arthur Stuart (Christian Bale) che lo seguono come un Dio a cui ispirarsi. Arthur diventa giornalista e deve documentare la scomparsa dalla scene il suo  idolo realizzando un cammino lavorativo che lo porterà a ripercorrere la sua storia e la sua identità. I due poli non si incontrano mai, si muovono su binari paralleli senza mai scontrarsi seppur, tutti e due, dovranno affrontare esorcizzare i pregiudizi delle persone per imporsi. Ci muoviamo attraverso una ricerca giornalista che per il modus operanti diventa simile a quella realizzata da Jerry Thompson nel film Quarto Potere. Le indagini vedono luce dalle interviste agli uomini e alle donne che hanno conosciuto Slade. Anche in questo caso scopriamo assieme al giornalista la verità nascosta dietro la morte del personaggio. L’intero film diventa un opera di accettazione dell’omosessualità all’interno della quotidianità. Il bigottismo sociale schiaccia le anime dei due personaggi che rispondono in due modi opposti; Slade attraverso l’esaltazione della sua ambivalenza e Stuart con la sua repressione sessuale. In ogni caso abbiamo di fronte a noi una condizione di forte disagio sociale che viene mitizzata solo tramite la creazione di una maschera. Nel lussurioso girone in cui si muovono i nostri personaggi le personalità di ognuno vengono annullate. L’apparenza diventa il motore che muove l’industria e tutti sono costretti a seguirla. Slade evolve la sua eccentricità diventando da individuo a personaggio; abbandona i suoi ideali di successo abbracciando le leggi di mercato trasformandosi in quello che il pubblico vuole: il simbolo di una nazione in cambiamento. Slade diventa l’emblema di una rivoluzione che vuole abbattere i vecchi stilemi austeri e accademici abbracciando la libertà sessuale e di pensiero. La normale evoluzione del personaggio è la sua successiva tramutazione in leggenda con la morte del personaggio sopra un palcoscenico. Arthur non si evolve, rimane nella dimensione grigia della città provocando la sua staticità nelle sue decisioni. Nemmeno troppo difficile paragonare  il protagonista dell’opera con il volto di David Bowie. Storia personale, stile musicale, trucco e parrucco simili collegano i due personaggi creando una linea tra finzione e realtà. Anche nel film si parla di uomo venuto delle stelle esattamente come per il cantante londinese. Inoltre nel film vediamo una relazione amorosa tra Brain Slade e Curt Wild (Ewan McGregor) simile a quella, presunta, tra lo Iggy Pop e Bowie. Tra musica pop e luci potentissime e abbaglianti il sesso tra loro due non è mai marcato in maniera esplicita se non in una delle scene più iconiche dell’intero film. Il sesso, massimo esponente della passione selvaggia e naturale, intrinseca in ogni uomo, è rappresentato da due artefatti del copro umano, simbolicamente emblema della falsità. Due bambole Ken della linea Barbie acconciate come Wild e Slade, con voce bambinesca, si rivelano il loro amore e iniziano a baciarsi mentre tutto intorno a loro e sfocato mentre aleggiano sfondi rosa e brillantini cadono dal cielo. La scena è volutamente così esageratamente carica. I due artisti sono adesso più che mai delle bambole perché come dei burattini sono controllate da norme di mercato superiori. Produttori e discografici che li seguono o li abbandonano a proprio piacimento. Gli uomini sono visti non come individui ma delle miniere d’oro con cui poter fare soldi. L’apparenza regna sovrana e di fronte alla luci sfavillanti della pellicola rimaniamo incantati. Scavando nelle profondità della miniera vediamo del carbone che nonostante la sua importanza viene ignorato perché più difficile da cogliere e da lavorare. Questo è Velvet Goldmine un’opera che non è quello che mostra ma quello che dimostra. Ma allora cosa dimostra questa pellicola? La difficoltà a mostrarsi per ciò che si è senza pregiudizi. Lo è stato 40 anni fa e lo è tutt’ora!