“Il giustiziere della notte“, quando uscì nel 1974, fu pensato per essere un film unico, similmente al romanzo omonimo di Brian Garfield da cui il regista Michael Winner trasse ispirazione. Sono passati quarantasei anni da allora, e nel franchise, ad oggi, contiamo quattro seguiti e un recentissimo remake (2018). Proprio poiché il remake di Eli Roth sarà trasmesso questa sera su Rai 4, ci siamo sentiti in diritto – se non in dovere – di evidenziare perché il capostipite rimarrà per sempre insuperabile.
Un nuovo giustiziere in città
Paul Kersey (interpretato da un indelebile Charles Bronson) è un ingegnere progettista di successo che, a causa di tre ignoti aggressori, si ritrova privato dell’amata moglie Joanna (Hope Lange), uccisa, e con la figlia Carol in stato catatonico. L’evento lo getta in un iniziale stato confusionale cui tenta di rimediare con un viaggio di lavoro a Tucson. Qui, nonostante fosse stato un obiettore di coscienza durante la Guerra in Corea, si lascia affascinare dal “modo di risolvere le cose” che gli espone un imprenditore locale. Tornato a New York, si convince dell’impotenza della polizia e comincia a farsi giustizia da sé con una pistola calibro .32. La polizia lo riesce a scovare dopo una lunga indagine, tuttavia, poiché le sue azioni hanno diminuito i crimini da strada, opta per insabbiare l’indagine a patto che Paul si trasferisca a Chicago. Nell’ultima scena, però, assistendo a un crimine, capiamo che la sua vendetta non è finita.
Perché “Il giustiziere della notte” originale è insuperabile
Alla domanda sul perché questo “Il giustiziere della notte” possa essere considerato insuperabile, dobbiamo rispondere tratteggiando il contesto dell’epoca. Com’è ben noto, infatti, prima del mandato del sindaco Rudy Giuliani, a New York, la delinquenza era all’ordine del giorno. Gli scippi, i pestaggi, i furti, gli omicidi, e tutto il resto, erano una costante. Tuttavia, prima del primo “Il giustiziere della notte”, nessuno si era mai azzardato a raccontarne le oscure realtà. Di fatto, questo film, così pregno di denunce inerenti a un qualcosa noto a tutti ma parimenti taciuto, fu il primo a mettere il luce la quotidiana realtà della Grande Mela. Analizzando questa semplice ragione, l’esistenza di un remake uscito nei virtualissimi anni 2010 diventa pressoché inutile. Ma andiamo per gradi.
Guardie e ladri si confondono
Ciò che contraddistingue “Il giustiziere della notte” è la sua forte atmosfera urbana. La New York fredda, buia, lontana dalla città delle luci di cui si era parlato spesso negli anni Cinquanta. In una città tanto smisurata, le probabilità che la polizia possa davvero interessarsi a tre giovani aggressori sono pressoché nulle. Tuttavia, nella mente di una persona che ha subito un simile torto, quella plausibile giustificazione si tramuta in immobilismo e indifferenza. Pertanto lo spettatore è portato a simpatizzare per entrambe le parti, capendone le motivazioni.
E’ così che Paul Kersey diventa il perfetto prototipo dell’antieroe. Il suo scopo è quello di nobilitare la città dal crimine, sebbene i suoi mezzi appaiano comprensibilmente reprensibili dalla lagge. C’è da aggiungere che nessuno – ma proprio nessuno – sarebbe mai stato in grado di interpretare quel ruolo al pari di Charles Bronson. Il suo volto irregolare, unito a quei baffetti e a quegli occhi di ghiaccio, sono l’esemplificazione ideale di un personaggio tanto crudo quanto affascinante.
“Il giustiziere della notte” come denuncia della società
Detto ciò, leggendo il tutto ad un livello più ampio, potremmo individuare in Paul Kersey una sorta di mezzo utile a comprendere il punto di vista critico di Winner su quella che era la società a lui contemporanea. La città di New York potrebbe essere intesa come l’emblema della spersonalizzazione del cittadino. L’intera opera potrebbe avere benissimo avere delle connotazioni critiche laddove si disamina sia l’incapacità delle istituzioni, sia i metodi del popolo per sovvertire quell’immobilismo. Una scelta che, di certo, risentiva ancora delle proteste degli ultimi anni del decennio precedente.
Tuttavia, ciò che più salta all’occhio, è come la polizia preferisca insabbiare il caso, ricevendo un plauso sardonico da Paul. E’ qui che si può assistere alla critica più dura alla società: alla fine, le due parti troveranno un accordo per salvare la loro faccia. In quel semplice scambio di sguardi si trova tutto il “riflusso“. La fine delle ostilità ha luogo con un “patteggiamento”. Il giustiziere della notte continuerà la sua caccia, ma sempre con una battaglia persa sul groppone.
L’originale è sempre il migliore
E’ per queste ragioni che un remake di un’opera del genere, così brutalmente ancorata all’epoca in cui uscì nelle sale, oggi non ha alcuna ragion d’essere. Non si tratta di un semplice film d’azione – così com’è invece stato reso da Eli Roth -; si tratta di un film concettuale, intriso di crudo realismo e di denuncia sociale.
MANUEL DI MAGGIO
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