“Gli Intoccabili”, di Brian De Palma, con Robert DeNiro, Sean Connery e Kevin Costner, ritorna su Paramount Channel stasera alle ore 21. Imbracciate il vostro Thompson e il vostro cappello fedora e preparatevi a rivivere insieme a noi gli anni del Proibizionismo.

I film sui gangster hanno rappresentato per tanto, tantissimo tempo, uno dei generi più amati dai cultori della settima arte. C’è poco da fare, anche quando paiono in flessione – come di questi tempi – ci saranno sempre gli amanti che si piazzeranno davanti allo schermo per osservare degli eleganti assassini con un mitragliatore Thompson in mano. E, sebbene negli anni, il genere abbia subito varie riletture e cambiamenti, basta solo un istante allo spettatore per farsi catapultare in quel mondo retro. Basta solo un Robert DeNiro intervistato da dei giornalisti che lo chiamano Al Capone, una lametta che lo ferisce, una minaccia al barbiere, e le nostre menti ritornano ai tempi del Proibizionismo.

“Gli Intoccabili”, uscito nel 1987, segna il ritorno di Brian De Palma presso il mondo dei gangster, già ampiamente affrontato con il celeberrimo “Scarface” (1983), tuttavia, in questo nuovo capitolo dell’ideale trilogia che si chiuderà con il, se possibile, ancor più maestoso “Carlito’s Way” (1993), il regista di Newark decide di far ritorno alle atmosfere classiche che avevano caratterizzato l’era d’oro del genere: gli anni Trenta (benché, per chi non lo sapesse, “Scarface” stesso era un remake di un film omonimo diretto da Howard Hawks e uscito nel 1932).

Gli Intoccabili
Photo Credit: WEB

La storia reale degli intoccabili, ossia il gruppo di agenti federali appartenenti al ministero del tesoro e capitanati da Eliot Ness che, nel 1931, riuscì ad arrestare Al Capone, era già stata raccontata in una serie televisiva uscita a cavallo tra il tramonto degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta. Nondimeno, la figura del più celebre e temuto boss della storia di cosa nostra americana, Alphonse Gabriel Capone, ebbe diverse trasposizioni cinematografiche, di cui solo due raggiunsero una certa notorietà: “Al Capone” (1959) e “Capone” (1972), con, rispettivamente, Rod Steiger e Ben Gazzara nei panni del gangster italoamericano. Nulla di indimenticabile, a essere sinceri, pertanto, forte di due biopic non troppo amati da pubblico e critica, DePalma decise di scrivere una sua visione del personaggio, unendolo alle gesta della banda degli intoccabili.

La storia raccontata nel film è parecchio semplificata rispetto all’originale, soprattutto per far fronte alle necessità di tempo del grande schermo. Eliot Ness (Kevin Costner) s’imbatte subito nella corruzione presente nei ranghi della polizia di Chicago e, conosciuto per puro caso l’idealista e disincantato agente Jimmy Malone (Sean Connery), decide di metter su una squadra di “intoccabili”, ossia di incorruttibili. Insieme a loro ci saranno Oscar Wallace (George Martin Smith), un contabile mandato da Washington che fornirà il modo per incastrare Capone con l’accusa di evasione fiscale, e George Stone (Andy Garcia), una giovane e promettente recluta che cela delle origini italiane dalle quali vorrebbe liberarsi per via del sentimento anti-italiano che affligge la Nazione in quegli anni.

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Tramite l’accusa di evasione, scarface (il soprannome di Capone), sarà arrestato. Tuttavia, durante il percorso che li porterà a fermare il nemico pubblico numero uno, gli intoccabili dovranno far fronte alla poca affidabilità della polizia, alle infiltrazioni criminose negli ambienti politici e, soprattutto, all’omicidio del saggio Jimmy Malone, assassinato da Frank Nitti, viceboss di Capone. Ness, dal temperamento mite e ingenuo, vedendo l’amico e mentore ucciso, tirerà fuori la propria rabbia portando a termine l’indagine. Emblematica la scena in cui scaraventa Nitti dalla cima del tribunale perché non disponeva delle prove necessarie a incriminarlo. Nel finale, inoltre, consapevole che la giuria popolare sia stata corrotta da Al Capone, il giudice, titubante, accetta di scambiarla con quella di un’aula dirimpetto, cedendo alle pressioni di Ness. Capone, dichiarato colpevole, non perderà comunque il proprio orgoglio italico, affermando di Ness che è solo “chiacchiere e distintivo”, benché proprio lui si fosse reso protagonista della sua storica cattura.

Come abbiamo potuto capire, la storia raccontataci da De Palma subisce, inevitabilmente, delle revisioni necessarie alla trasposizione sul grande schermo. Il regista sopperisce molto intelligentemente a delle problematiche che si sarebbero potute creare. Per prima cosa: quando viene arrestato Capone? A inizio del film ci troviamo a settembre del 1930, ma, come ben sappiamo, scarface fu incarcerato nel 1931. Bene, dopo quella data vista nei primi istanti del film, non avremo più nessuna indicazione. L’altro ottimo stratagemma per evitare di creare un sovraffollamento di personaggi è la lista di Malone. Sappiamo che i veri “intoccabili” erano originariamente una cinquantina, pertanto, presentandoci i personaggi principali, De Palma ci rende noto che altri agenti sono stati selezionati proprio da Malone. Infine, l’unica vera inesattezza storica riguarda proprio Frank Nitti, ucciso da Ness nell’atto di completare il proprio arco narrativo; nella realtà, Nitti divenne il successore di Capone dopo il suo arresto.

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Parlando da un punto di vista più analitico, “Gli Intoccabili” è classificabile come un film “citazionista”. La forte epica presente e il senso di giustizia che oltrepassa quello di legge, in questo film raggiunge livelli di epica narrativa difficilmente eguagliabili. Diciamo così per un semplice fatto: il racconto, in sé, non fa altro che sciorinarci una lista di attacchi effettuati dagli intoccabili alla Outfit (il nome della cosca mafiosa di Chicago), mettendo in dubbio il senso stesso di che cosa sia la giustizia di fronte alla crudeltà umana. “Lui ti manda un uomo all’ospedale, tu ne mandi uno suo all’obitorio. Così si fa la guerra a Chicago”, dice Malone. Questo concetto, tuttavia, immedesimandoci nei panni di Ness, non ci appare del tutto approfondito sino alla fine, giacché, sino a prima dell’omicidio di Malone, Ness, in merito, non afferma nient’altro che non sia già uscito dalla bocca di Jimmy. Solo dopo aver capito quanto sia iniquo e impari il suo metro di giudizio, si rende protagonista dell’omicidio di Nitti. La giustizia non lo avrebbe potuto incriminare per la morte dell’amico, così è lui che lo condanna “a modo suo”.

Un film denso di significati, di contraddizioni. Il personaggio di Al Capone, interpretato con la solita maestria da DeNiro, difatti, agisce secondo un suo metro di giudizio, non troppo dissimile da quello esposto da Malone. Egli fa la sua giustizia; la scena dell’uccisione con la mazza da baseball ne è un esempio. Il punto di vista di scarface nel dire “sei solo chiacchiere e distintivo”, emerge tanto nella prima interazione con Ness, quanto nel finale. Cosa differenzia i due se non un distintivo? Capone non fa altro che la sua lotta alle istituzioni, ritenute da lui arbitrarie, tanto quanto arbitraria è la sua scelta di non osservarle. Del resto, se i poliziotti dovrebbero ostracizzare i gangster ma accettano le bustarelle per non farlo, che cosa li differenzia dai gangster? Un distintivo. Loro hanno la possibilità di agire perché qualcuno, arbitrariamente, l’ha data loro in un remoto passato.

Gli Intoccabili
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Dal punto di vista tecnico, non si può non parlare della regia fortemente nostalgica di De Palma, capace di riproporre diverse inquadrature appartenenti all’epoca d’oro di Hollywood. La hitchockiana zumata iniziale su un Al Capone che ci appare enorme, quasi come un titano che domina il mondo – il suo mondo – è indimenticabile, così come la scena alla Union Station di Chicago, chiaro riferimento a “La Corazzata Potemkin” (di Sergej Eizenstein, 1925), con la celebre inquadratura sulla carrozzina che cade dalle scale frattanto che la madre urla.

Con un Ennio Morricone in grande spolvero, impegnato nel ricreare atmosfere elegiache per l’epoca dei gangster già nel nostrano “C’Era una Volta in America” di tre anni prima, la stupenda colonna sonora de “Gli Intoccabili” ci dona il giusto condensato di malinconia ed epica, peraltro, con un tema che diverrà propedeutico per “Bugsy” (1991), film di Barry Levinson caratterizzato dalle medesime atmosfere. Infine, nota di merito per i costumi di scena, riceventi diverse nomination senza, tuttavia, il conseguimento di alcun premio. Premio Oscar, invece, che sarà destinato a Connery come migliore attore non protagonista.

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“Gli Intoccabili”, come la maggior parte dei film sui gangster usciti dopo il periodo d’oro degli anni Trenta-Quaranta, si fregerà per sempre di un pregio: farci cadere virili lacrime dagli occhi. Lacrime in memoria di un cinema che, oggi, i più superficiali ritengono scomparso, ma che si è preso solo una pausa di riflessione in attesa ritornare come ha sempre fatto. Perché si può essere epici con poco, anche solo con un gruppo di uomini idealisti che riuscirono ad arrestare il più importante boss della storia della malavita organizzata.

MANUEL DI MAGGIO

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