Recensione di Great Pretender, la nuova serie anime di Netflix su un colorito gruppo di esperti truffatori.

Il mondo delle truffe è da sempre soggetto a numerosi adattamenti cinematografici e televisivi. Il fascino degli artisti del raggiro, che siano il Neal Caffrey di White Collar, o il Moses Pray in Luna di Carta, ha sempre fatto presa sul grande pubblico. Strano dunque pensare che davvero pochi anime aderiscano a questo genere. Wit Studio, però, ha deciso di puntarvi forte per il suo nuovo anime esclusivo di Netflix: Great Pretender.

Trama e stile

photo credits: web

Great Pretender comincia in Giappone, dove il giovane Makoto Edamura, un ragazzo che si guadagna da vivere con piccole truffe, viene a sua volta ingannato da un esperto truffatore francese, Laurent Thierry. Questi, però, riconosce il suo talento, e assieme alla collega Abby, decide di portarlo in giro per il mondo come complice per i suoi raggiri.

È difficile parlare di Great Pretender senza cadere in facili spoiler. Questo perché, come ogni caper che si rispetti, colpi di scena e depistaggi sono un punto focale della narrazione. Tuttavia, non è il solo: ciò che colpisce è il modo in cui la serie ci avvicina ai suoi protagonisti, attraverso flashback mai noiosi e dialoghi per niente banali. La regia di Hiro Kaburagi (91 days, Hoozuki no reitetsu) è attenta a non rendere gli episodi meri pezzi di una storia più grande: ogni puntata ha una sua identità, concentrandosi su questo o quell’altro aspetto della narrazione, ma senza per questo rallentare la prosecuzione degli eventi. Così possiamo scoprire cosa c’è dietro il carisma di Thierry, i silenzi di Abby e l’ingenua innocenza di Edamura senza per questo sentirci annoiati. Un qualcosa che si vede di rado, nella moderna serialità televisiva.

Spettacolo e citazionismo

Benché si stia parlando di una serie su truffe e raggiri, in Great Pretender non manca certo l’azione. Fughe rocambolesche, sparatorie, corse di aeroplani, risse: è pur sempre il mondo del crimine. La scelta di Yoshiyuki Sadamoto (Neon Genesis Evangelion, FLCL) come character designer si rivela azzeccatissima: il suo stile minimale, che però valorizza movimento ed emotività facciale, favorisce notevolmente i momenti più concitati.
L’uso dei colori, che farebbe rabbrividire Diamond is Unbreakable, è spettacolare, con sfondi digitalizzati che soprattutto nel secondo arco narrativo tolgono il fiato. Degna di nota anche la CGI: i modelli tridimensionali si coniugano perfettamente alle animazioni disegnate a mano.

Per Kaburagi non è un problema citare le sue ispirazioni: dalla sigla che rimanda a Prova a prendermi di Steven Spielberg, a riferimenti diretti a Breaking Bad, i film di Steven Seagal e il caso Weinstein. La fantastica colonna sonora jazz rimanda piuttosto direttamente a Cowboy Bebop. Il tutto per una serie entusiasmante, divertente e che è ben lungi dalla conclusione: i 14 episodi presenti su Netflix, infatti, verranno presto raggiunti dall’arco conclusivo, che arriverà in Giappone il 21 settembre. Sarà composto da 9 puntate, seguite da un adattamento manga di Daichi Marui.

Dopo un inizio mediocre, Netflix ha iniziato col tempo ad alzare il tiro, con i suoi anime esclusivi. Great Pretender è senza dubbio tra i migliori, unendo divertimento, personaggi interessanti e un’ottima resa estetica. Perderselo è il vero crimine.

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