Cronaca

Guerra diplomatica tra Usa e Cuba: espulsi 15 diplomatici cubani da Washington

Dopo il richiamo in patria da Cuba del personale diplomatico americano non indispensabile, ieri il presidente americano Trump ha espulso 15 diplomatici cubani da Washington.

Prosegue la crociata del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti contro Cuba. La guerra diplomatica, annunciata già durante la campagna elettorale da Donald Trump, proseguita poi a giugno con la cancellazione di parte dell’accordo storico sottoscritto da Barack Obama e che ha avuto un’ulteriore strascico la scorsa settimana con il ritiro da Cuba di tutto il personale diplomatico “non indispensabile”, ieri ha subito un’ulteriore accelerata.

Ieri, “The Donald” ha formalmente espulso 15 diplomatici cubani da Washington, inasprendo ulteriormente quella che è – di fatto – una guerra diplomatica tra gli Usa e la sua storica rivale Cuba. Il governo dell’Avana ha definito la mossa di Trump “avventata, inappropriata e sconsiderata”; inoltre, sempre il governo cubano ha messo in guardia gli Stati Uniti sul fatto che questa guerra diplomatica mette in pericolo il turismo e i rapporti commerciali tra Washington e l’Avana.

Come riporta il New York Times, che cita una fonte anonima del Dipartimento di Stato americano, l’espulsione dei diplomatici cubani vuole essere un modo per mettere sotto pressione Cuba perché a Washington si crede che non abbia fatto quanto in suo potere per proteggere i diplomatici americani sull’isola (il riferimento è ai misteriosi attacchi sonori subiti dall’ambasciata a dicembre e gennaio, in cui parte del personale ha riportato mal di testa, perdita di equilibrio e danni all’udito più o meno permanenti).

Tuttavia, la stessa fonte dice che il Dipartimento di Stato continua a non ritenere il governo di Cuba direttamente coinvolto nell’organizzazione e/o nella messa in pratica del misterioso attacco. Molto dura è stata la risposta del governo dell’Avana, per bocca del suo Ministro degli Esteri Bruno Rodríguez Parrilla: «Cuba non ha mai perpetrato, né mai lo farà, alcun tipo di attacco contro i diplomatici e le loro famiglie, nessuna eccezione». Né, ha aggiunto, permetterà a terzi di farlo, prima di bollare i racconti sulla perdita dell’udito e gli altri sintomi, come “fantascienza”.

Questa espulsione rischia di mettere in pericolo tutto il lavoro svolto dall’amministrazione Obama per riavvicinarsi all’isola, proprio a ridosso di una scadenza cruciale per Cuba: è nell’aria, infatti, che il prossimo anno Raúl Castro si ritirerà, ed emergerà una nuova generazione di leader politici. Ma l’ala più dura e pura del Partito Repubblicano, sulla spinta della comunità degli esuli cubani negli Stati Uniti, non vede di buon occhio il disgelo. Il senatore della Florida Marco Rubio, in un tweet di poco tempo fa, scrisse al riguardo: «l’idea che oltre 20 membri del personale dell’ambasciata americana siano stati feriti a Cuba ed il governo cubano non ne sappia nulla è ridicola».

Ma non è solo su Twitter che i contrari si fanno sentire. Il mese scorso, Rubio e altri senatori repubblicani dell’ala più oltranzista hanno scritto una lettera al Segretario di Stato Rex Tillerson, con la quale chiedevano ulteriori misure contro Cuba. Ad esempio, si suggeriva di dichiarare tutti i diplomatici cubani “persona non grata”, di fatto un bando senza alcuna possibilità di ritorno.

Nonostante non siano state trovate tracce degli strumenti utilizzati nell’attacco contro i diplomatici statunitensi, gli investigatori giunti a Cuba sospettano che vi possa essere stata la mano di uno stato terzo nel mettere in piedi questo attacco (i sospettati sono, as usual, la Russia e la Corea del Nord). In ogni caso, gli investigatori sono certi di una cosa: niente sarebbe potuto accadere senza una qualche forma di complicità – o, quantomeno, di accondiscendenza – del governo dell’Avana.

«Quest’ordine assicurerà equità nelle rispettive operazioni diplomatiche» ha detto il Segretario di Stato Tillerson sull’espulsione. I diplomatici cubani hanno ora sette giorni per lasciare gli Stati Uniti. Attendiamo quindi i nuovi sviluppi dell’ennesima, avvilente, saga della politica estera statunitense.

Lorenzo Spizzirri

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