L’atelier del pittore è un opera di Gustave Courbet, manifesto della corrente artistica realista. Una pittura antieroica proclamata dallo stesso artista “realista” in quanto amica della verità.
Gustave Courbet
Gustave Coubert si trasferisce a Parigi quando aveva circa venti anni. Qui frequenta l’Accademia e comincia a condurre la vita del Bohemien. Conosce Baudelaire ed il gruppo di artisti cosiddetti mangiatori di Hashish, esaltati e tormentati. Tutti artisti che auspicavano un rinnovamento artistico, sociale e politico. Coubert si pone subito in una posizione di polemica con la pittura accademica. Ha grandi ambizioni ed è consapevole del proprio talento e della innovazione che vuole portare nella pittura.
L’atelier del Pittore
Con l’obiettivo di corrompere l’arte comincerà ad utilizzare per i suoi dipinti grandi formati, fino ad allora utilizzati solo per soggetti storici, per ritrarre scende di vita comune. L’obiettivo di questa opera è proprio la proclamazione della propria scelta artistica e morali. Infatti il titolo completo dell’opera è «L‘atelier del pittore, allegoria reale che determina sette anni della mia vita artistica e morale». L’opera presentata al Salon del 1855, non incontra il favore della giuria. La causa del rifiuto sono proprio le dimensioni colossali di questo lavoro. Coubert dirà: “Più mi contestano più mi danno importanza” e anche “io voglio essere l’eccezione che conferma la regola”. A valle di questo rifiuto Courbet deciderà di esporre tutte le sue opere in una mostra personale in un edificio eretto a sue spese e proclamato Padiglione del Realismo.
Le persone vive, le persone morte
Il quadro ha una dimensione enorme, quasi 4 metri per 6 metri. La scena è ambientata in realtà in un granaio della famiglia dell’artista. Queste sono le parole di Coubert a descrizione dell’opera:
È il mondo che viene a farsi dipingere da me: a destra gli eletti, ovvero gli amici, i lavoratori, gli appassionati del mondo dell’arte. A sinistra, gli altri, coloro che conducono un’esistenza banale, il popolo, la miseria, la povertà, la ricchezza, gli sfruttati, gli sfruttatori, le persone che vivono della morte altrui.
La composizione, a detta del pittore, richiama quasi un giudizio universale. Infatti lui descrive i personaggio disposti secondo il suo giudizio. A destra le persone vive, inteso in senso intellettuale. A destra le persone morte, cioè quelle interessate ai beni materiali o a dogmi non contestabili.
La grande tela è popolata da una trentina di personaggi, in una composizione complessa. Al centro c’è l’artista al lavoro su un paesaggio del suo paese natio, Ornans. Accanto a lui due figure: la figura femminile che rappresenta la «nuda» Verità, e un bambino che invece rappresenta l’ Innocenza. Si può notare che la donna nuda è l’archetipo della verità, e ai suoi piedi il telo è allusione allo «svelamento» della Verità. Il bambino che osserva il quadro è il riferimento alla espressione auspicata dall’artista della necessità di «guardare il mondo e l’arte con gli occhi di un bambino». Quindi per Courbet, la verità è innocente, oltre che nuda. Coubert decide di rompere con la tradizione del bello da cartolina. Sceglie di dipingere soggetti sgraziati e a tratti volgari. Sfida il pubblico e le accademie ad un rinnovamento necessario: l’abbandono del programma accademico della bellezza.