“Ho fame della tua bocca”: Neruda ci delizia come nessuno

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Di Redazione Metropolitan

Ho fame della tua bocca, della tua voce, dei tuoi capelli
e vado per le strade senza nutrirmi, silenzioso,
non mi sostiene il pane, l’alba mi sconvolge,
cerco il suono liquido dei tuoi piedi nel giorno.

Sono affamato del tuo riso che scorre,
delle tue mani color di furioso granaio,
ho fame della pallida pietra delle tue unghie,
voglio mangiare la tua pelle come mandorla intatta.

Voglio mangiare il fulmine bruciato nella tua bellezza,
il naso sovrano dell’aitante volto,
voglio mangiare l’ombra fugace delle tue ciglia

e affamato vado e vengo annusando il crepuscolo,
cercandoti, cercando il tuo cuore caldo
come un puma nella solitudine di Quitratúe.

Non ricordo di preciso quando fosse, probabilmente sarà stato agli inizi del mese di agosto.Un mio grande amico, confidente, un po’ amante. Un uomo un po’ particolare, fuori dagli schemi e dalle tinte decisamente cangianti, mi ha sorpresa recitandomi questa poesia che credo essere di una bellezza inimmaginabile ed inaspettata.

E’ sbocciata improvvisamente dentro di me e da quel momento le parole rimbombano nella testa come un salmo!

Ho scelto di riportarla oggi per condividere un momento niente male con i più appassionati, ma anche con coloro che non sono particolarmente avvezzi alla poesia.

Dico questo perché Pablo Neruda, autore dell’ opera , aveva la preziosa abilità di raccontare l’ emotività servendosi di una semplicità disarmante e perfettamente sapiente al tempo stesso.

L’ intento è quello di lasciare spazio così ad un’ emozione pazzesca che vale la pena d’ esser vissuta, qualunque sia il vostro stato d’ animo. Ognuno può darne una personalissima lettura, ognuno può immaginare, ognuno può rivederci pezzi di vita vissuta.

“Ho fame della tua bocca” fa parte della raccolta Cento sonetti d’ amore risalente al 1959, in cui Neruda affronta la poesia in modo altamente sperimentale, ripudiando la rima al fine di aspirare ad uno stile più libero e naturale.

Una poesia che parla d’ amore, di assenza, che esalta la donna e che abbraccia la solitudine di un uomo descritto come una belva felina alla ricerca della sua preda, mentre la sera si appresta a calare sulle terre cilene.

Un capolavoro perdutamente romantico, adatto agli animi più trasognati, una poesia dal contenuto forte: la donna come nutrimento dell’ uomo, come acqua, come cibo, come sensazione, come tatto, come suono o armonia, come delicatezza e audacia al tempo stesso. Una poesia di perfetto incanto.

Non la leggerei tanto con nostalgica e arrendevole afflizione; la vedrei piuttosto come un atto di forza ed impeto da parte di un uomo impotente dinanzi ai propri istinti, in preda ad una foga divoratrice per una donna che racchiude l’ universalità dei sensi.

Un uomo in preda alla pazzia per un amore assordante.

Guarda il link: https://www.youtube.com/watch?v=TuGCe84_PJI

Stefania Conte