I cittadini sono scesi in strada per chiedere il ritiro della legge sulle estradizioni e le dimissioni del Capo del Governo, Carrie Lam.
Nuove proteste ad Hong Kong. Non è bastato il rinvio sine die della legge sulle estradizioni.
Stando a quanto riportano i media locali, questa mattina più di un milione di persone è sceso in strada per protestare contro il governo.
L’affluenza è stata tale che la polizia è stata costretta ad aprire ulteriori corsie stradali per permettere la marcia. Dopo quasi due ore dall’inizio della manifestazione, c’erano ancora molte persone che dovevano uscire dalle fermate della metropolitana. La folla è diretta verso il palazzo del parlamento, dove si sono registrati scontri nella protesta di mercoledì.
Le richieste dei manifestanti
“Il rinvio non è ritiro della legge”, sarebbero queste le dichiarazioni dei manifestanti, vestiti in abito nero, radunatisi a Victoria Square.
Non è solo l’annullamento dell’iter legislativo che chiedono i cittadini; le degenerazioni della manifestazione di mercoledì scorso hanno inasprito i rapporti tra il Governo e gli abitanti di Hong Kong, che ora pretendono le dimissioni del Capo dell’esecutivo Carrie Lam, oltre che pubbliche scuse per gli 11 arresti e le cariche della polizia di mercoledì scorso.
Si alza unanime il coro di denuncia soprattutto nei confronti della Cina continentale, accusata di “uccidere” i cittadini di Hong Kong.
Leung
Durante la manifestazione, i cittadini hanno deposto dei fiori in memoria di Leung, il 35enne morto sabato cadendo da un’impalcatura mentre dispiegava uno striscione con la scritta “Nessuna estradizione in Cina. Ritiro dell’emendamento sulle estradizioni. Non siamo rivoltosi. Carrie Lam dimettiti. aiuta Hong Kong”
Le autorità hanno considerato il caso come un suicidio.
Le scuse
Nella giornata di ieri Carrie Lam ha manifestato la volontà di sospendere il provvedimento, ma non di ritirarlo, rimarcando la necessità del provvedimento.
Tuttavia, nella giornata di oggi, alle 20:39 ora di Hong Kong, sono arrivate le pubbliche scuse da parte del Capo dell’esecutivo che, però, sono state considerate tardive da parte degli organizzatori della manifestazione.
Come nasce la protesta
Domenica 9 giugno più di un milione di persone (240mila secondo la polizia) si sono riversate nelle strade di Hong Kong per protestare contro la proposta di legge in tema di estradizione presentata dal governo. Il testo era stato presentato diversi mesi fa, a seguito della richiesta di Taiwan di consentire l’estradizione di un 19enne di Hong Kong accusato di aver ucciso la fidanzata durante una vacanza a Taipei.
La giornata di mercoledì
È stata la giornata di mercoledì quella in cui si sono avvenuti scontri tra la polizia e i manifestanti.
Dopo aver bloccato tutte le strade di accesso, i contestatori hanno invaso la sede del Parlamento e la polizia, in tenuta antisommossa, ha risposto sparando gas lacrimogeni e proiettili di gomma all’interno del palazzo. Si registrano più di 70 feriti tra manifestanti, agenti di polizia e giornalisti.
Per la prima volta nella storia della città cinese, il capo della polizia, Lo Wai-chung, ha dichiarato ufficialmente lo “stato di rivolta” che comporta, in caso di arresto, una pena ad almeno dieci anni di reclusione.
Cosa prevede la legge
Secondo il governo dell’ex colonia britannica, questa legge è necessaria per colmare un vuoto
normativo, al fine di consentire l’estradizione verso paesi con i quali non esiste ancora un accordo in tal senso, come Macao, Taiwan e la Cina continentale.
A detta del primo ministro Carrie Lam, la proposta di legge prevede l’estradizione solo per persone accusate di reati con pena massima di almeno 7 anni ed è prevista la presenza di clausole di salvaguardia a tutela dei diritti umani che dovrebbero evitare l’estradizione per motivi politici o religiosi.
Le critiche al provvedimento
Sono in molti, tuttavia, a criticare il provvedimento, in particolare le associazioni per i diritti umani e civili, convinti che questa legge possa rappresentare il primo passo per intaccare l’autonomia di Hong Kong, sancita dal principio “un paese, due sistemi”, che garantisce libertà democratiche nell’ex colonia britannica, e per perseguitare attivisti politici che finirebbero per essere sottoposti ad un sistema giudiziario poco trasparente e garantista come quello della Repubblica Popolare Cinese.
L’influenza cinese
È opinione diffusa, però, che la legge possa legittimare rapimenti in città da parte delle autorità cinesi, già accaduti in passato.
Il sospetto è rafforzato dalle esternazioni di Han Zheng, vice premier della Repubblica Popolare Cinese e nome di spicco del Partito Comunista, che ha apertamente sostenuto l’approvazione della legge, dichiarando che consentirà di estradare gli stranieri che sono sospettati di aver messo in pericolo la sicurezza di Pechino.