C’è un detto che dice “La mamma dei cretini è sempre incinta”, e poi ci sono i fatti che lo dimostrano. Come quello avvenuto nell’istituto superiore di Piacenza, dove una studentessa di rientro a scuola dopo aver affrontato un aborto, viene accolta da alcuni compagni con una serie di bigliettini, appesi un po’ ovunque, in classe e lungo i corridoi, che abbozzavano disegni di un feto, con scritte a penna del tipo “Questa eri tu”, o “Ho bisogno di afFeto”più originale. Provare a immaginare la reazione della ragazza sarebbe troppo. Capire lo scopo, invece, scontato. Gli atti di misoginia sono talmente tanti che abbiamo anche smesso di chiederci il perché: l’obiettivo era fare male, nient’altro. Contribuendo a devastare l’animo di una ragazza già provata da una scelta che di per sé, in ogni caso, provoca dolore.

A denunciare i fatti è stato l’avvocato per i diritti civili, nonché attivista, Cathy La Torre: “Presenterò un esposto alla Procura per chiedere che vengano accertati eventuali reati”, ha dichiarato al Corriere della Sera, “La ragazza è chiaramente e fortemente turbata dall’accaduto”. Mentre intanto sono già in corso le indagini interne da parte del personale scolastico per cercare di risalire ai responsabili. Come spesso succede in questi casi, la notizia ha, tra l’altro, iniziato a circolare sul web, attraverso i profili dei giovani della provincia piacentina profondamente turbati dall’accaduto, diventando rapidamente virale.

Educazione sessuale: parliamone

Alla radice di quel far male c’è però un altro movente, che è l’ignoranza. Perché temi come l’aborto rappresentano ancora un tabù o, nel migliore dei casi, sono considerati crimini. Con la conseguente negazione dell’idea che una donna possa avere il controllo sulle proprie scelte riproduttive. Un preconcetto dimostrato da tutti quegli Stati che, pur allentando la stretta in determinati casi come lo stupro, l’incesto o un’emergenza che mette a rischio la vita della madre, ancora condannano la donna che sceglie di abortire. Anche in Italia, dove il diritto all’aborto è sancito dalla legge 194/78, secondo la quale, nei casi previsti, è possibile ricorrere alla IVG in una struttura pubblica, spesso i medici si rifiutano di applicarla: 7 su 10 sono obiettori di coscienza. Secondo un rapporto del ministero della Salute del 2020, nel 2018 sono state 76.328 le interruzioni di gravidanza, con un calo del 5,5% rispetto all’anno prima. Mentre circa il 70% dei ginecologi si dichiara obiettore, contro la minima percentuale che riguarda il resto dell’Europa. Questo perché, anche laddove l’accesso all’Ivg è stato relativamente liberalizzato, gli operatori sanitari possono interpretare in modo, più o meno prudente, le leggi, finendo per applicare la pratica in modo più stringente di quanto la legge stessa preveda: per ragioni personali, stereotipi negativi sulle donne, stigmatizzazione dell’aborto, o paura di ripercussioni penali. Un fenomeno al quale si contrappone quello di molti Paesi in cui medici e ostetriche compiono la procedura per rispondere a un proprio imperativo morale, o anche per soldi.

Inutile dire che a tutto questo si accompagni una totale mancanza di volontà nel parlare di un tema delicato come l’educazione sessuale, nei Paesi in cui il sesso e l’emancipazione femminile sono ancora concetti astrali, ma anche no. Perché i casi come quello avvenuto a Piacenza sono la prova lampante di quanto l’argomento dovrebbe diventare obbligatorio, proprio nelle scuole. La sessualità non è una questione privata: il sesso non si fa da soli. Educare non fa che mettere in luce la verità: quella per cui le persone hanno un pene e una vagina, si riproducono, hanno orgasmi, possono contrarre malattie, o decidere di avere rapporti con lo stesso sesso, così come di abortire. L’oscurantismo non serve a niente, se non a provocare disastri, come quello di mortificare una ragazza per una legittima scelta, attraverso campagne antiabortistiche finalizzate a provocare ulteriore dolore e senso di colpa, senza neanche sapere cosa significhi. Volere è potere, si dice. Ma conoscere di più.

Francesca Perrotta