I social network sono un incredibile mezzo di comunicazione, che consente di tenersi aggiornati su qualsiasi cosa accada, anche dall’altra parte del mondo, e di stabilire contatti con persone di qualunque provenienza, età e cultura. Storie e volti che s’intersecano tra loro, fili di una rete globale che abbraccia l’intero pianeta, azzerando le distanze. Non sempre, però, queste app incontrano un utilizzo giusto e consapevole. Purtroppo, a volte le conseguenze possono essere gravissime. Proprio a questa idea si allacciano le sette famiglie francesi che hanno intentato una causa contro TikTok, accusando la piattaforma di aver esposto i propri figli adolescenti a contenuti dannosi. Contenuti che avrebbero portato due di loro a togliersi la vita a soli quindici anni.

La class-action, come sostiene l’avvocato Laure Boutron-Marmion, si basa sul convincimento che l’algoritmo del colosso cinese abbia mostrato ai sette ragazzi coinvolti video che promuovono il suicidio, l’autolesionismo e i disturbi alimentari. I genitori stanno ora intentando un’azione legale congiunta presso il tribunale giudiziario di Créteil a Parigi.

TikTok: le molte ombre del social network per giovanissimi

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TikTok e gli altri social network possono influire negativamente sulle vite degli utenti, in particolare i giovanissimi

«I genitori vogliono che la responsabilità legale di TikTok sia riconosciuta in tribunale. Si tratta di una società commerciale che offre un prodotto a consumatori che sono, inoltre, minorenni. Devono quindi rispondere delle carenze del prodotto.», è l’argomento a sostegno dell’accusa. Come gli altri social media, TikTok è da tempo sottoposto a controlli sulla sorveglianza dei contenuti sulla sua applicazione, proprio come Instagram e Facebook, parte del gruppo Meta.

Il mese scorso, ad esempio, una dozzina di Stati americani e il Distretto di Columbia hanno tentato di trascinare la piattaforma in tribunale, sostenendo che stia danneggiando la salute mentale di ragazzi e bambini, creando in loro una dipendenza attraverso strategie che rendono compulsivo il suo impiego. Il portavoce del gigante digitale ha dichiarato, in risposta: «Siamo fortemente in disaccordo con queste affermazioni, molte delle quali riteniamo essere inaccurate e fuorvianti». Ora, tuttavia, si trova a dover rispondere anche alle famiglie francesi, che chiedono di far luce sulle molte ombre della questione.

Quando la rete si trasforma in prigione

Stabilire quanto i social incidano sulla psiche dei giovanissimi e quanto, effettivamente, influiscano su gesti così estremi è un terreno scivoloso difficile da valutare oggettivamente. Certo è, tuttavia, che il contino bombardamento di informazioni, trend e novità da seguire in tempo reale, pena il declassamento da parte del famigerato algoritmo, non possono fare troppo bene. In particolare, quando a ricevere questi stimoli sono teenagers e persone che non hanno ancora sviluppato un senso critico. Si passano ore a fare scrolling, a metà tra l’annoiato e l’ansioso, nel timore di perdere un video virale, un brano appena uscito, una tendenza in fatto di moda e stile; la FOMO (fear of missing out) ci divora dall’interno, costringendoci a stare sempre sul pezzo, correndo forsennatamente dietro chissà cosa.

Una battaglia persa in partenza, perché, basandoci su post, condivisioni, sponsorizzate e IG stories, ci sarà sempre qualcuno più cool di noi, più informato di noi, più bello di noi, più felice di noi. Apriamo un’app a caso e veniamo abbagliati da vite apparentemente perfette, patinate e senza sbavature, vissute da creature altrettanto ineccepibili. Sorrisi smaglianti, fisici tonici e modellati, look all’ultimo grido. E poi vacanze extralusso, borse griffate e un lifestyle troppo al di sopra delle nostre possibilità. Ecco, allora, che quel chiletto in più diventa un problema, quell’esame non andato viene visto come un macigno troppo pesante e quella festa saltata una macchia indelebile.

TikTok: la solitudine dei grandi numeri

La rete si trasforma in una corda che ci stritola e quello schermo del telefono, un tempo finestra sul mondo, assume le inquietanti sembianze di una gabbia, che avviluppa e non lascia scampo. Gli adulti riescono, a fatica, e non sempre, a trovare un punto di equilibrio, ma per i più giovani la morsa delle aspettative virtuali degenera in un inferno reale, difficile da gestire. Il tentativo di scuotere il sistema da parte delle sette famiglie in Francia si fonda proprio su questo: risvegliare le coscienze di chi gestisce queste piattaforme e portare a galla una serie di meccanismi tossici e sbagliati dei social.

Una carezza nei confronti dei loro bambini perduti, anche se tardiva, e un modo per provare a salvarne altri, finché si è in tempo. Internet è un bacino enorme, che accoglie chiunque, nel bene e nel male. Eppure, nel silenzio delle nostre camere, attratti dallo screen del nostro smartphone come falene intorno a una lampada, non si ha sempre la sensazione di appartenere a qualcosa, anzi. I dispositivi elettronici ci rendono interconnessi, ma, se non usati con criterio, molto soli. Ed è proprio questa solitudine che, com’è accaduto ai due ragazzi che hanno perso la vita, fa credere di non avere speranza o via d’uscita.

Federica Checchia

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