I ragazzi di vita di Pasolini erano innocenti, noi non più

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Di Rossella Papa

C’è un bambino che fugge dalla Chiesa della Divina Provvidenza dopo la sua prima comunione, è Riccetto, la città sembra ancora una grande campagna: Roma bruciata dal sole.

Si apre così Ragazzi di vita, il primo romanzo di Pier Paolo Pasolini, pubblicato nel 1955, che ebbe un gran successo nonostante le ampie critiche di populismo o di estremo documentarismo e, soprattutto, i disappunti per lo stile frammentario, confuso e discontinuo.

Ma Ragazzi di vita non è soltanto un documento sulla condizione del sottoproletariato romano, o sulle borgate di provincia: Ragazzi di Vita è il tentativo di un realismo etnografico assoluto, che si mostri oltre la questione sociale, o quella dialettale. L’esperimento di far emergere nella purezza anche il macabro riflesso della morte, metaforica e continua.

Ragazzi di vita è una storia presente eppure immersa nella luce del mito, una realtà che mostra nei suoi varchi le storie passate che ci appartengono. Sarà per questo che in quei Ragazzi, poi ragazzacci, c’è l’ombra di una società anche contemporanea.

Tutta l’opera accade e finisce con una domenica di sole, una del luglio 1944 e una primaverile del 1950. E’ il sole che illumina le scene e le opere di Pasolini: è il sacro, la vita. E’ il mare e il cielo, e quindi il Sole e la Luna. E’ il sogno di Pasolini di “volare negli abissi delle acque del mare“, lo stesso dei Ragazzi di Vita di “nuotare nel Sole“. E’ un sogno intimo che sciacqua i sensi deviati, poi corrotti. In quell’ombra nascosta si cela la purezza primigenia.

Ragazzi di Vita, nei suoi otto capitoli, suddivide la storia in due tempi. Da una parte la storia di Riccetto e dei suoi compagni, innocenti bambini, è il tempo del Sole e del Tevere. Dall’altra la storia degli stessi ragazzini, ma a diciassette anni: il tempo della periferia, dell’Aniene.

I bambini della prima storia, i piccoli dei, le rondini innocenti saranno i malandrini, i malfattori della seconda parte. Alcuni saranno morti, come Amerigo, come Genesio. Sono le morti che si sciolgono nelle acque dell’Aniene, dove non arrivano i rumori del traffico. Se la morte di Genesio riflette l’immagine del mito, arrivando proprio prima di entrare in società, quella di Amerigo sembra contenere tutte le altre: è il rifiuto di crescere, il gioco indomabile, il rifiuto della società: è quella spinta fino al limite della morte che ricorda tanto Pasolini stesso. E’ una costruzione babelica, l’eco del mito che ritorna sempre.

Sono morti quasi tutti, quei Ragazzi di vita.  Quei bambini che fuggono nel sole per volare nel mare di Ostia hanno perso l’ingenuità e la spensieratezza, adesso sono briganti che vivono nelle borgate. E’ cambiato anche il cielo, anche il linguaggio. Eppure sono rimasti innocenti. Tutti salvi, anche nei furti e nelle malefatte. Sono morti innocenti, piccoli e coscienti di una diversità tenera e naturale. Sono i ragazzi che moriranno prima del capitalismo, gli stessi che conoscono Roma prima di Roma.

Quando nel 1950 Pasolini arriva a Roma trova un paesaggio che non si aspettava, non ci sono più gli amori sognanti del Tagliamento ma le avventure pericolose nei vicoli, la strada dietro via Ostiense, c’è tutta la sua rabbia, la povertà e la paura di sè, la voglia di punirsi e di scandalo, c’è la caccia perversa del lupo alle sue prede. Pasolini era stato ognuno di quei Ragazzi di vita  e  ora era diventato un lupo.

Noi non siamo morti prima del capitalismo, siamo nati da quello. Non c’è nessuna campagna, nessun furfante che ruba mele a Campo De’ Fiori. Ora Roma è un grande chiasso che sembra nascondere anche le melodie dei vicoli del ghetto ebraico, il jazz dei san pietrini fuori tempo, il silenzio dei panni stessi tra due balconi a Trastevere. E la notte è ancora una  donna meschina e disperata, eppure oltre quelle curve, sotto gli scalini scavati e duri, c’è lo stesso fiume dove la purezza, la bellezza, l’innocenza si sciacquano dal via vai di storie mortali.

Non siamo innocenti, non siamo più Ragazzi di Vita, ora siamo tutti Carlo di Tetis e Carlo di Polis: siamo Petrolio. Vittime e carnefici della bipolarità della vita. Non siamo più innocenti, siamo già nati nel peccato del consumismo, siamo già spacciati. Ma Roma, in fondo, verso le sette di sera, nascosta e sfuggente, è ancora una campagna silenziosa. In fondo, non siamo innocenti ma, lì, possiamo essere salvi.

Ragazzi di vita, al di là della morte, è il romanzo che comincia e finisce con il ritorno alla vita. C’è la profonda allegria, nè la rivoluzione nè la miseria. E’ il tentativo di conciliare la storia e la vita, i sensi e la ragione. Siamo anche noi i piccoli dei e poi i piccoli diavoli, attraverso cui credere che la vita possa ricominciare.

Perchè se la storia sembra finita, la vita ritorna, in quella camera dove abita la sorella di Riccetto con in braccio un piccolo scriccio, un nuovo Riccetto. Ecco la nostra disperazione, ecco la speranza.

Rossella Papa