“I Vitelloni”, Chi non ama l’arte, non ama la vita

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Di Redazione Metropolitan

C’è chi fa cinema per distanziarsi dalla realtà. Oppure c’è chi lo fa per fregarla, ridicolizzarla e, di conseguenza, valorizzarla. Chi meglio di Federico Fellini per esprimere tale concetto? Un regista dalla poetica espansiva eppure riconoscibile che, dietro gli elementi visionari e talvolta grotteschi, è riuscito a parlare anche di sé stesso. Un film come “I Vitelloni” è lì a ricordarcelo.

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I Vitelloni. PhotoCredit: Web

Non siete nessuno tutti, tutti quanti

Siamo nella Rimini degli anni ’50, città natale di Fellini e scenario delle vicende di un gruppo di amici. Fausto (Franco Fabrizi) è il donnaiolo senza speranze incapace di sistemarsi in pianta stabile, Riccardo (Riccardo Fellini) un giocatore d’azzardo, Leopoldo (Leopoldo Trieste) un intellettuale ambizioso, Alberto (Alberto Sordi) un immaturo perdigiorno e Moraldo (Franco Interlenghi) non sa nemmeno lui che cos’è esattamente. Cinque uomini uniti da un’amicizia goliardica e da un’esistenza che non sembra soddisfarli pienamente.

I Vitelloni” non è solo un viaggio nella gioventù di Fellini (personificato in buona parte dal personaggio di Moraldo, apparentemente il più passivo del gruppo ma anche il più maturo) ma un vero e proprio racconto di formazione popolato da personaggi talvolta bislacchi nelle loro debolezze (le continue scappatelle di Fausto), paure (Leopoldo e le sue aspirazioni artistiche) e incomprensioni (il gioviale Alberto che spesso cede alla consapevolezza). Fellini non li giudica troppo severamente e anzi spesso li rende protagonisti di episodi in cui allegria e amarezza vanno a braccetto. Prima li vediamo divertirsi durante uno scatenato Carnevale oppure ad osservare le novità del momento con genuino stupore e subito dopo li vediamo alle prese con furti, artisti inquietanti (il Sergio Natali di Achille Majeroni) e burle infantili (la celebre presa in giro di Alberto verso i “lavoratori della mazza”).

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I Vitelloni. PhotoCredit: Web

Devo partire, vado via

Ancora lontano dalla derive surreali di “La Strada” o “Le notti di Cabiria” e delle pretese intellettuali di “La Dolce Vita”, “I Vitelloni” rappresenta il Fellini più genuino, brillante e sobrio. Lo stesso che un anno prima aveva presentato un film cinico e sarcastico come “Lo sceicco bianco” e che ha poi consacrato la sua maestria dietro la macchina da presa con un’opera in parte biografica che però presenta tutti gli elementi che lo avrebbero poi consacrato con titoli quali “8 ½ “ e “Amarcord”. Un autore e un regista che, proprio come il suo alter ego Moraldo, ha abbandonato casa per lanciarsi in un futuro oscuro ma che gli ha offerto tante opportunità.

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I Vitelloni. PhotoCredit: Web

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