Affermarsi nel mondo del lavoro nel nostro paese è una sfida assai ardua, ma lo è ancor di più, se facenti parte di categorie cosiddette “speciali”. In realtà queste categorie di speciale non hanno assolutamente nulla, se non il fatto di essere accomunate da un destino che le vuole particolarmente sfortunate o meglio, discriminate. Secondo l’ultimo rapporto annuale del World Economic del 2020, l’Italia è al trentaquattresimo posto in termini di mobilità sociale. Il 67% dei figli di persone che non hanno un’istruzione secondaria superiore, mantiene lo stesso grado di educazione dei genitori e solo il 6% ottiene una laurea. Tale rapporto, rappresenta solo una delle tante evidenze che il nostro paese continua ad evidenziare: ossia che la ricchezza si tramanda attraverso l’albero genealogico più che per meriti personali. Ulteriori problematicità si verificano in base al genere, all’età, al colore della pelle e al luogo di provenienza della persona interessata.
Nel caso di Alessandro Fiacco, chef affermato e di talento, i punti deboli erano rappresentati dalla giovane età e dalla provenienza. Alessandro nasce infatti a Pofi, comune di 3886 abitanti.
Fare impresa e distinguersi nei piccoli centri è purtroppo ancora molto difficile, questo è l’assunto da cui sono partita per porre delle domande a questo strabiliante chef.
Pensi sia più difficile affermarsi per un ragazzo di provincia?
Alessandro: Sì, penso che sia molto difficile affermarsi per un ragazzo di provincia come me. Il nostro paese non fornisce molte opportunità per giovani in erba e molto spesso l’unica possibilità rimane quella di andar via. Ho trascorso momenti di difficoltà, ma con il senno di poi mi sento di dire che vale la pena rischiare per non vivere una vita fatta di amarezze e rimpianti.
In ogni caso ci avrete provato.
Quali sono gli ostacoli che hai incontrato nel tuo percorso lavorativo?
Alessandro: Sono stato piuttosto fortunato nell’incontrare persone e chef che sono state al mio fianco, insegnando e comprendendo, mai giudicando. Ho potuto conoscere dirigenti che mi hanno dato sempre la possibilità di crescere, ma mi rendo conto che tutto ciò non sia semplice, specialmente per le mie colleghe che si identificano come donne.
La tua cucina è innovativa: quali novità vorresti introdurre?
Alessandro: Vorrei introdurre nella mia cucina lo show cooking, attività molto presente negli anni ‘90 negli Stati Uniti, ma adesso quasi totalmente dimenticata. Ritengo sia molto affascinante, soprattutto se reinterpretata con piatti semplici e tradizionali del nostro territorio che presentano materie prime di altissima qualità e sostenibilità.
Pensi che l’Italia sia indietro anche sotto il punto di vista culinario?
Alessandro: No, anzi, penso che la cucina italiana rimanga una delle più invidiate al mondo. Ritengo che allo stesso tempo sia un peccato che la nuova generazione di chef perda contatto con le proprie radici culinarie. Rielaborare piatti della tradizione può renderci attrattivi e al passo con i tempi, mantenendo le nostre caratteristiche peculiari totalmente intatte. Un occhio alla sostenibilità e alla qualità è d’obbligo, riuscendo a mantenere contatto con la propria comunità di appartenenza.
Personalmente, mi ritengo una grandissima sostenitrice di chiunque coltivi un sogno soprattutto con pochi mezzi.
È difficile? Sì.
Si può fallire? Assolutamente.
Ma ne varrà comunque e sempre la pena, anche se non ci riusciamo, anche se decidiamo di non provarci.