Per anni il centro storico del capoluogo pugliese è stato un “fortino” delle famiglie mafiose. Faide, scippi e omicidi erano all’ordine del giorno e accompagnavano il continuo evolversi di nuovi clan. Oggi Bari vecchia vive tranquilla. Aperta a turisti e con numerosi locali e botteghe la si visita senza paura. Ma presto potrebbe nascere una nuova guerra di mafia
BARI – Dagli anni 90 ad oggi il borgo antico di Bari, roccaforte criminale dei clan mafiosi, è cambiato. Venti anni fa tra i vicoli del quartiere era una continua lotta tra famiglie rivali. Si susseguivano omicidi e scippi, sfrecciavano motorini, i turisti non la visitavano e addirittura i baresi stessi avevano difficoltà a entrarci.
Una grossa area di quasi 34mila metri quadrati racchiusa tra il mare, il porto e il centralissimo quartiere Murat fondato nel 1813. Dalla quale tenersi lontana e i cui ingressi erano piantonati da vedette.
«Oggi non è più così, non c’è più lo stesso marciume. Non possiamo dire che abbiamo vinto o che tutto va bene perché manca ancora una totale collaborazione della società civile che deve segnalare tutto ciò che accade alla magistratura e alle forze dell’ordine che invece ce la stanno mettendo tutta» racconta il 62enne Pinuccio Fazio, il papà del 16enne Michele ucciso il 12 luglio 2001 mentre tornava dal lavoro.
In largo Amenduni, sotto casa Fazio, un proiettile raggiunse il giovane alla nuca in uno scontro a fuoco tra i rivali Capriati e Strisciuglio. Da quella sera le cose cambiarono, i coniugi Fazio giurarono che non sarebbero scappati da Bari Vecchia e che avrebbero fatto di tutto per cambiarla con la collaborazione delle istituzioni.
«Loro oggi si nascondono, non ostentano più nei vicoli e nelle piazze ricchezza e potere – continua Pinuccio -. La sera in cui morì Michele sotto casa mia c’era un gruppo di sessanta persone al fresco della brezza estiva mentre mangiavano angurie. Le donne indossavano grossi orecchini d’oro per sfoggiare la propria ricchezza, frutto di soldi guadagnati con droga e armi».
Ma in che modo si è arrivati da una situazione di instabilità alla tranquillità, almeno apparente, di oggi? Bisogna partire dal 91 quando il borgo era conteso tra la storica famiglia dei Capriati e quella dei Manzari. I primi si dedicavano all’estorsioni, al contrabbando di sigarette e alle bische, i secondi avevano la gestione di tutti gli scippi. Nel settembre di quell’anno però venne rubata una somma cospicua di denaro a un parente dei Capriati. Ne nacque una faida e alcuni esponenti dei Manzari furono uccisi.
Bari vecchia divenne così un “postaccio” in cui nessuno metteva piede. Sono anni in cui anche la Polizia è quasi estromessa dal quartiere. «Avevamo difficoltà a entrarci – racconta Luigi Liguori, capo della Squadra Mobile di Bari dal 2002 al 2009 e oggi questore a Matera -. Dovevamo organizzarci con più macchine per gestire il nostro arrivo. Lo Stato aveva perso il controllo del territorio».
Del resto, la zona era piena di vedette e piantoni a piedi o in bici con il compito di avvisare i propri sodali dell’arrivo delle Forze dell’Ordine con un linguaggio in codice. Spesso era “pasquale” l’allarme lanciato per avvertire della presenza della Polizia.
Dal 92 il clan indiscusso era quello dei Capriati sino a che nel 95 alcuni esponenti non se ne affrancano. Nacque così un nuovo gruppo, i Laraspata, che dopo circa quattro anni di estorsioni e contrabbando di sigarette la Polizia sgominò. I pochi rimasti fondarono un nuovo sodalizio, quello degli Strisciuglio.
Siamo tra la fine degli anni 90 e gli inizi del 2000 quando ormai la guerra tra Capriati e i neonati Strisciuglio era alle porte. Si susseguirono una serie di omicidi eccellenti per affermare il predominio nella zona storica.
Dopo un breve periodo di convivenza ricominciarono a spararsi. E nel luglio del 2001 nello scontro a fuoco tra Capriati e Strisciuglio rimane ucciso il giovane innocente Michele. Di lì partì un’attività investigativa a tutto spiano. Lo Stato non poteva accettare che nelle guerre di mafia morisse gente onesta.
Il clan Capriati venne così sgominato a cavallo del 2005 dalla Squadra Mobile di Bari e gli Strisciuglio poterono quindi allargarsi e affermarsi.
Si fanno furbi e cominciano a dedicarsi allo spaccio di droga lasciando libertà a commercianti e imprenditori di aprire attività per dare una parvenza di pulizia del rione. Prima non era così facile, bisognava rispondere alle mille domande dei mafiosi per avere il benestare e aprire una bottega o un locale.
Già dalla fine degli anni 90 intanto la città antica era interessata dal piano Urban, una iniziativa europea che in Italia aveva individuato 16 città e prevedeva di affrontare problemi legati a situazioni di isolamento, povertà ed esclusione. Bari si soffermò proprio sul borgo prevedendo di lavorare sulle principali emergenze sociali: disoccupazione, devianza minorile, criminalità, sicurezza e assenza sul territorio di associazioni di volontariato.
Da allora la borgata cominciò a pullulare di negozi, turisti, locali e pub insieme a innumerevoli crocieristi che ancora oggi attraccano al porto di Bari. Le famiglie mafiose invece si dedicarono a colonizzare i paesi della provincia.
«Prima Bari vecchia si sentiva un paese dentro una città, come se le antiche mura bizantine che fino a metà XIX secolo la circondavano fossero ancora impresse nella mente dei barivecchiani – racconta don Franco Lanzolla, parroco della cattedrale di Bari da 12 anni -. Oggi è un quartiere sano con tanta gente che ha voglia di lavorare, mettere su famiglia, vivere una vita dignitosa. È cambiato molto rispetto a venti anni fa quando l’assenza delle istituzioni aveva abbandonato questa zona e i criminali con il contrabbando, la droga e l’usura esercitavano un potere sulle anime dei residenti».
Certo ancora oggi, come testimonia l’ultima relazione della Direzione Investigativa Antimafia del semestre gennaio-giugno 2018, Capriati e Strisciuglio operano a Bari vecchia con attività più imprenditoriali e meno appariscenti, senza essere come un tempo grezzi e rozzi. Senza imporsi con la forza e la violenza.
Tuttavia, il borgo ha cambiato il suo volto e a dirlo sono anche i commercianti. «Scippi non se ne vedono e nessuno dà fastidio. Certo servirebbero più controlli e più pattuglie in giro ma la situazione è molto tranquilla. Trent’anni fa con le mie amiche non entravo nel borgo», racconta l’artigiana 57enne Maria Pina Cile che dal 2006 ha una bottega nel quartiere storico. E a rafforzare la tesi è anche Pinuccio Fazio che da sempre vive il quartiere. «Prima chiunque ci entrava veniva guardato e dovevi aver paura».
Insomma, Bari vecchia è un borgo rinato dove la malavita non ha più tanto consenso sociale e dove si sono generati circuiti virtuosi e di impegno come quello che don Franco ha realizzato: una rete di solidarietà verso i più poveri che opera nelle parrocchie nelle quali la gente del posto offre da mangiare a 130 barboni, regala vestiti e li fa lavare.
Ma è pur sempre un quartiere in cui non bisogna sottovalutare nulla. L’omicidio nel novembre 2018 del 49enne Domenico Capriati, leader della famiglia, potrebbe essere il segnale della nascita di nuovi clan. I figli dei vecchi boss sono intanto cresciuti e potrebbero aspirare a diventare i nuovi capi della città vecchia. L’allarme è che ne nasca quindi una nuova guerra mafiosa che azzeri la pace ritrovata.
[ngg src=”galleries” ids=”245″ display=”basic_thumbnail”]Gallery a cura di Luca Carofiglio