Il diavolo indiano è l’opera d’esordio di Marco Vaccher e pubblicata per Casta Editore (2019 – 180 pagine), una casa editrice giovane, ma che in pochi anni ha saputo già cucirsi addosso una forte identità proponendo opere di grande interesse. Per capirlo è sufficiente dare uno sguardo al ricco catalogo online. Il libro è il primo estratto da una collana dedicata al mondo del Western.
La trama in breve
Texas, dominio spagnolo. Un Apache semina morte e terrore tra i coloni, tanto da organizzare una spedizione per catturarlo, ma che in realtà porterà alla luce una verità sconvolgente. Venticinque anni dopo, l’uomo che era conosciuto come il Diavolo Indiano è divenuto un frate francescano, custode della comunità di cittadini della Repubblica del Texas e occasionale interprete tra i bianchi e i pellerossa, ma la comparsa di una banda di Comanche lo obbligherà ad abbandonare la tranquillità del convento e a ripercorrere un dimenticato e ormai sepolto sentiero di guerra.
L’autore
Marco Vaccher nasce a Roma nel 1982 e nel tempo ha saputo collezionare diverse esperienze artistiche, quali lo speaker radiofonico (su Quantaradio dal 2012 al 2014 con la rubrica “Nella vita mi alzo tardi”) e la conduzione nella kermesse letteraria “Notti Cangianti”, intervistando tra gli altri autori come Paolo Crepet, Alberto Bevilacqua, Ascanio Celestini ed Erri de Luca. Dal punto di vista letterario le sue prime opere brevi sono uscite sulla rivista Effe e la sua passione per il western lo ha spinto a scrivere il suo primo romanzo, ossia proprio Il diavolo indiano.
Il diavolo indiano: commento personale
Il western è un genere particolare, si sa, ma dal punto di vista della rappresentazione, probabilmente, dopo la grande era di Tex ha visto la sua definitiva consacrazione soprattutto grazie alle trasposizioni cinematografiche, lacunando un po’ per quanto riguarda quello che è il “puro” mondo letterario, soprattutto recente (senza però doverosamente dimenticare autori come Cormac McCarthy, Joe Lansdale e Larry McMurtry) e se ci concentriamo principalmente sulla realtà italiana (la quale sull’argomento si è fermata a Salgari).
Latitano, “da noi”, contenuti interessanti ed è doppiamente interessante come un contenuto di qualità sia potuto nascere in ambiente “romano”, ossia da un contesto, quello della metropoli, che di western ha decisamente ben poco, a meno che non si vogliano paragonare le risse da saloon con quelle sul Grande Raccordo Anulare. Il merito? Va certamente alla grande capacità narrativa dell’autore, alla sua scrittura brillante, ma prima di ogni cosa alla dettagliata ricerca storica che ha saputo trasformarsi in una finzione più che credibile e non banale. Questo probabilmente perché Il protagonista di questa storia non è un eroe canonico, epico, ma in realtà forse non è neanche un eroe… risulta infatti difficile empatizzare con lui, almeno fino a quando il lettore non arriva a contestualizzarlo e capire che in fondo si tratta prima di tutto di un uomo che vive in una realtà dura, dove più che vivere si sopravvive, un uomo forgiato da una storia cruda, ma che nonostante tutto… naaaaaa, niente spoiler.
Il romanzo di Vaccher, infine, e questo è giusto sottolinearlo, è una di quelle opere che vogliono (e riescono a) far riflettere, senza però diventare noiose e opprimenti. I temi tra le righe, ma neanche troppo, sono quelli del razzismo e dell’incontro/scontro con “gli altri”, tematiche che non saranno di certo “innovative” ma che oggi più che mai tornano ancora di moda e che non fa mai male confrontare con il grande insegnamento della storia. Quella di Marco, infatti è “una storia”, certo, ma è anche e soprattutto “la Storia”. VOTO: 7
Dario Bettati
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