Primo nella cinquina che concorre al premio Strega, Il Colibrì di Sandro Veronesi ( La Nave di Teseo) è un libro difficile da definire. Partendo dalla storia familiare del suo protagonista, un uomo ordinario, affronta tematiche esistenziali importanti, lasciando sullo sfondo quelle sociali e politiche che infiammano il nostro tempo.
Vuole dire tanto Veronesi, forse troppo, ma lo fa con eleganza, delicatezza, senza entrare mai a gamba tesa in nessuna tematica. E al lettore rimane così quello che più gli appartiene, nel rispetto della sensibilità propria e dello scrittore.
Il Colibrì
Marco Carrea è il colibrì. Ripercorrendo la storia della sua famiglia d’origine scopriamo che la madre, donna dalla forte personalità artistica, lo chiamava così a causa della piccola statura. Forse per un problema genetico, Marco non cresceva alla giusta velocità, era piccolo, ma aggraziato, delicato.
Da adulto quello che sarà l’unico amore della sua vita, Luisa, conosciuta al mare quando erano bambini, lo definirà il colibrì per la sua capacità di battere velocemente le ali, producendo un movimento incessante solo per rimanere fermo. Sottrarsi al cambiamento.
Settanta battiti al secondo per rimanere dove si è già, per fermarsi nel mondo e nel tempo e a volte persino risalirlo. Come il colibrì Marco è anche capace di volare all’indietro, di ritrovare il tempo perduto. Quello che a lui riesce del tutto naturale, per gli altri invece spesso risulta difficilissimo, sempre proiettati nel cercare di andare avanti come possono. Ma proprio grazie a questo suo movimento incessante, eviterà rovinose cadute, troverà sempre il punto d’arresto: perché sopravvivere non significhi vivere meno.
Quante persone sono seppellite dentro di noi
Nel romanzo il protagonista si ritrova di colpo a dover gestire la fine del suo matrimonio, che grazie allo psicanalista della moglie, scoprirà essere stato tutto una farsa. Quella donna che aveva sposato pur amando Luisa, con la quale intrattiene un amore platonico ed epistolare, non è la donna che credeva. La fine di un matrimonio, l’allontanamento dalla figlia macchiato da accuse infamanti, sarà il primo lutto che gli vediamo affrontare.
A ritroso scopriamo invece che la sua esistenza, così come quella della sua famiglia era stata segnata dalla morte della tanto amata sorella Irene. Ragazza difficile,particolare che si lascerà annegare negli anni in cui ci si affaccia alla vita. Seguirà la morte di entrambi i genitori a causa del cancro. Il distacco dal fratello Giacomo al quale scrive invano, e che ritroverà solo in punto di morte. Un lutto affettivo anche questo. Fino ad arrivare al dolore più grande, quello della perdita di Adele, la figlia tanto amata che gli lascerà in eredità l’uomo nuovo. In realtà una bellissima bambina miscuglio di razze diverse.
La dittatura del dolore
È un romanzo pieno di morte e di vita scrive Alessandro Piperno. È vero, come è vero che è un libro sulla elaborazione del lutto, sulla ricerca di quell’equilibrio che ti permette di non affondare, di ribellarti, di sottrarsi alla ritualità della mortificazione del corpo e dell’anima che il lutto esige. È un romanzo pieno d’amore che conferma la teoria secondo la quale, al contrario delle donne, gli uomini amano una sola volta nella vita. E fino alla fine lui amerà Luisa, anima inquieta ed errante, che sempre risponderà al suo richiamo, nonostante le peregrinazioni della sua vita e del suo cuore.
Amerà con tenerezza Adele la figlia nata dal suo matrimonio. Quella bambina difficile che vedeva un filo legato alla sua schiena e gli viveva intorno. Figura indimenticabile che diventerà donna e madre e lo lascerà alla sua morte, preda di un dolore che per la prima volta gli apparirà ingestibile. Non esiste una parola per indicare un genitore che ha perso un figlio. Riprende qui una riflessione fatta da Marìas, uno dei più grandi scrittori contemporanei. Dolore dal quale riuscirà ad uscire grazie alla psicanalisi da lui tanto odiata, e a quella bambina che diventerà una stella di internet.
L’esplicito sovrasta l’implicito
Marco Carrera aiuterà a morire il padre malato di cancro. Marco Carrera malato di cancro, deciderà di morire prima che la malattia lo consumi completamente. Per farsi aiutare chiamerà Rodrigo. Infermiere venuto apposta da Malaga, con una famiglia e una storia difficile alle spalle. Le sue sorelle lavorano per delle organizzazioni umanitarie, lo stesso amico psicanalista di Marco, lascerà la professione per andare a lavorare nell’hotpost di Lampedusa. È così, da lontano, che Veronesi sfiora il tema dell’immigrazione pregando per Rodigo e per tutte le persone in mare. Cosi’ come con la nipote che di caucasico sembra avere solo il cognome, sfiora il tema della multi etnicità della società.
Con l’addio a quello che è rimasto della sua famiglia, l’addio a Laura, alla sua esistenza, scrive le pagine più commoventi del romanzo, lasciando sospeso e personale il giudizio sul fine vita, il giudizio su tutto in realtà. Veronesi, comunque vada, ha già vinto, di nuovo, lo sa lui, lo sappiamo tutti.
Cristina Di Maggio
Seguici su facebook