Sylvester Stallone dieci anni fa ha dovuto affrontare una sfida imparagonabile a qualsiasi impresa sul ring con Apollo Creed o Ivan Drago e per cui nemmeno gli “occhi della tigre” hanno potuto fare nulla, la morte del figlio Sage, il 13 luglio 2012, a causa di un infarto improvviso nel suo appartamento di Los Angeles a soli 36 anni è stato il dolore più grande della sua vita e di cui ancora oggi fa fatica a parlare. Tornare con la mente a quella sera d’estate quando gli è arrivata la chiamata mentre si trovava al Comic-Con di San Diego per promuovere The Expendables II fa ancora troppo male, e sarà così per sempre

Aveva tentato anche la carriera manageriale, fondando una società che si era specializzata nei vecchi film di cassetta degli anni Settanta, quelli che fanno impazzire Quaranti Tarantino. Poi, sei anni fa, alle soglie dei 30 anni, si era deciso al debutto anche come regista. Anche qui un piccolo, piccolissimo film, Vic, la storia – pensa te – di un attore decaduto che a un certo punto della vita riceve una misteriosa telefonata: e ossessionata dalla gloria perduta tenta un impossibile ritorno a Hollywood. A Hollywood, l’Hollwywood che conta, il povero Sage non è mai arrivato, se non con le porte spalancate da papà. Quel suo piccolo bel film non se lo ricorda più nessuno. Mentre lui era rimasto a vivacchiare all’ombra appunto del padre, il figlio di emigrati italiani che aveva sfondato quarant’anni prima con quella bizzarra storia che si era scritto da solo, Rocky, e con cui aveva praticamente ricattato le major: o la interpreto io o questo film non lo farete mai. Hollywood allora si arrese e quel film a budget bassissimo diventò un successo. La straordinaria carriera di papà Sylvester cominciò così. Un miracolo che Sage ha inseguito fino all’ultimo: fino ad affondarlo nei sogni mortali di un mucchio di pillole.

Il dolore di Sylvester Stallone sulla morte del primo figlio Sage

Sage era figlio d’arte nella vita ma anche nella finzione. Proprio accanto a papà aveva incominciato, debuttando neppure 15enne in Rocky 5 e per di più nella parte proprio del figlio di Rocky Balboa. Poi per la verità solo roba di basso profilo. Ancora una volta il padre gli aveva dato l’occasione di farsi notare al grande pubblico, chiamandolo accanto a sé in Daylight. Niente.

“Quando un genitore perde un figlio, non c’è dolore più grande”, aveva detto Sly a TMZ subito dopo la morte del suo primogenito Sage Stallone, nato dalla relazione con la sua prima moglie Sasha Czack (dal loro matrimonio nasce anche Seargeoh “Seth”, 40 anni mentre le altre tre figlie dell’attore, Sophie, 23, Sistine, 21 e Scarlet Rose, 17 sono frutto dell’unione con l’attuale moglie Jennifer Flavin, ndr). “Perciò vi chiedo di rispettare la memoria del mio talentuoso figlio e provare compassione per la sua amorevole madre. Questa terribile perdita si farà sentire per il resto della nostra vita. Sage è stato il nostro primo figlio e il centro del nostro universo e sto chiedendo umilmente a tutti voi di lasciare in pace la memoria e l’anima di mio figlio”, aveva poi chiosato, chiedendo rispetto e privacy per la delicata situazione.

Sage Stallone e papà Sly avevano un rapporto speciale, una chimica simbiotica che hanno portato sul grande schermo recitando fianco a fianco in Rocky V nel 1990 e nel film Daylight-Trappola nel tunnel del 1996. Poi Sage Moonblood, (sangue di luna) ha camminato sulle sue gambe diventando produttore cofondando la compagnia Grindhouse Releasing insieme a Bob Murawski, e debuttando alla regia con il lungometraggio Vic. Una carriera brillante stroncata prematuramente da una morte improvvisa che ha cambiato per sempre la vita della famiglia Stallone. “È molto, molto dura. È una situazione orribile, ma si spera che il tempo possa guarire le ferita”, aveva commentato l’attore italo-americano nell’agosto 2012, “è importante guardare aventi e provare a iniziare a rivivere la tua vita, altrimenti puoi entrare in una brutta spirale”.

Un dolore riaffiorato prepotentemente sul set di Creed dove Sylvester si è trovato a ricoprire il ruolo del padre sullo stesso set che aveva condiviso proprio con Sage Stallone. “Mi ci è voluto un po’. Giuro che non volevo farlo, davvero. Era troppo doloroso. Troppo tosto. Non puoi difenderti. Ma il lato positivo meraviglioso del recitare è la catarsi. Posso trovarvi sollievo”, ha dichiarando spiegando la scelta finale di partecipare al progetto. E la vittoria del Golden Globe 2016 è stato il tributo più bello per il vero Robert Balboa, Jr. “Tutte le volte che puoi dare sfogo ad emozioni che sono vere ti è d’aiuto. Ma più di tutto voglio rendere omaggio al suo ricordo. Penso che ci siamo riusciti e ne sono felice”.

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