Il dramma di Matteo Marzotto: “La fibrosi cistica si è portata via mia sorella Annalisa a soli 32 anni”

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Di Redazione Metropolitan

Matteo Marzotto non arresta mai il suo impegno contro la fibrosi cistica, sua sorella Annalisa è morta a causa di questa malattia quando ancora la ricerca non era in grado di aiutare come oggi. A Oggi è un altro giorno confida: “Una sorella che chiamavo vice madre, era più mamma che sorella, era di 9 anni più grande di me. Ero adulto quando se n’è andata e avevo capito che poteva succedere ma non l’ho mai veramente realizzato e questo è stato un primo contatto con la morte molto impegnativo ma poi è diventato amore, lei è diventata un angelo custode e ci credo fermamente”. E’ per questo che è nata la fondazione contro la fibrosi cistica. A distanza di qualche anno dalla morte della sorella Matteo Marzotto ha trovato il modo di fare qualcosa di concreto. «Mia sorella aveva un anno quando si capì che la sua era una malattia ereditaria. E senza scampo», racconta Matteo Marzotto. «Respirava a fatica e non aveva mai fame. Eppure ha viaggiato, ha amato… I miei genitori sono portatori di fibrosi cistica. Si scopre con un esame. L’ho fatto anch’io».

«Mia sorella continua a essere una delle donne più importanti della mia vita. Una donna coraggiosa. Se n’è andata.
Si chiamava Annalisa, è morta a 32 anni, nel 1990. È la fibrosi cistica che l’ha uccisa, una malattia ereditaria, una condanna scritta nei geni.
Lei era la secondogenita di cinque figli, tra noi c’erano nove anni di differenza. Era piccolissima, un anno appena, quando i miei genitori scoprirono che le sue difficoltà respiratorie dipendevano dalla gravissima patologia da cui era afflitta. La verità fu subito chiara: non c’erano cure risolutive. Ma, se vi racconto la storia di mia sorella, è perché i seimila malati italiani di fibrosi cistica devono sapere che con questa malattia si può convivere. E a lungo.

Mi tengo stretti i bei ricordi: le nuotate che facevamo insieme a Porto Ercole quando, già ad aprile, con l’acqua gelata, lei si tuffava e io la seguivo, le vacanze in barca con il suo fidanzato, Riccardo, un mio carissimo amico tuttora…
A tratti pareva che il destino avrebbe potuto scordarsi della terribile sentenza di morte. Io me ne dimenticavo. “Lei è una persona creativa, sa cavarsela sempre”, pensavo tra me e me.

Invece la fibrosi cistica è una patologia cattiva e subdola. Annalisa si doveva sottoporre a massaggi al petto almeno tre volte al giorno. Glieli facevamo a turno, mamma, papà e noi fratelli. E poi c’era la sua camera, con il grosso barattolo di vetro pieno di pastiglie rosse e la tenda a ossigeno, dove da piccolissimo mi intrufolavo per giocare. Per lei era difficile respirare e non aveva mai fame. Le stuzzicavamo l’appetito con i cibi che adorava: il prosciutto cotto, le meringhe e i marron-glacè.

È morta a Minneapolis, in America, dove aveva scelto di curarsi. Ecco, l’unico rimpianto è legato a quegli ultimi momenti. Io facevo il militare, avevo 23 anni. I miei genitori mi hanno avvertito che la situazione era improvvisamente degenerata, malgrado Annalisa fino alla mattina stessa avesse creduto di giocarsela, come ogni volta che aveva una crisi respiratoria. Sono volato fin lì, fino a quella città dove per qualche mese, durante l’università, avevo vissuto insieme a mia sorella. Quando sono arrivato, se n’era già andata. E io mi sono sentito profondamente solo. In quel momento ho capito quanto mi sarebbe mancata.

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È importante che i genitori aiutino il figlio a diventare un adulto equilibrato e, per quanto possibile, gioioso. Annalisa faceva sport, andava in vacanza, aveva un fidanzato. Sognava per sé una famiglia e desiderava che tutti noi fossimo felici. È vero, rispetto ad altri è stata una privilegiata. Grazie alle nostre possibilità economiche ha potuto vivere lontana dall’inquinamento della città, dannoso per questi malati, che hanno gravissimi problemi di respirazione. Ma, io credo, più di tutto l’ha aiutata l’essere circondata da persone che l’hanno lasciata vivere. Senza ansia.
Quando lei è scomparsa, ero troppo giovane per capire fino in fondo che cosa avrei potuto fare. Nel frattempo la mia famiglia ha contribuito alla creazione di una fondazione, che ha lo scopo di raccogliere donazioni destinate alla ricerca. Mi impegno anch’io, nel nome di mia sorella. In Italia sono quasi tre milioni i portatori sani che possono trasmettere la malattia. Ecco, è importante capire se il proprio figlio potrà soffrire di fibrosi cistica. Come per la sindrome di Down o per l’anemia mediterranea, è fondamentale la diagnosi prenatale.
Non solo. Prima di decidere di avere un bimbo, sarebbe importante che le coppie facessero un esame del sangue: è così che si può scoprire di avere un gene mutato e quindi di essere genitori a rischio. Un semplice esame, che io ovviamente ho fatto e che può far risparmiare anni di sofferenza».