E’ notte fonda, la Turchia dorme. Dalle viscere della terra arriva prima un boato, poi il terrore. La terra trema, le persone si svegliano in preda al panico e iniziano a correre. Si riversano in strada, prima che le loro case li uccidano crollando. Di quelle case, di quei  quartieri, ora non rimane che un cumulo di macerie e una nuvola di polvere nell’aria.  Un terremoto, migliaia di morti, centinaia di migliaia di sfollati.

I soccorsi sono lenti, la capitale è lontana, il governo non è in grado di organizzare la macchina degli aiuti. Né il presidente, né il primo ministro, nell’immediatezza del disastro, sentono il dovere di andare a portare ai propri compatrioti la vicinanza delle istituzioni. Un politico caduto in disgrazia capisce che quel terremoto è un terribile dono di Allah per la sua carriera, e non esita ad usarlo per attaccare il governo e riprendersi il proprio posto al sole.

È l’agosto del 1999.

Il terremoto mostra, in tutta la sua spietatezza, l’inefficienza della macchina amministrativa turca. Il primo ministro Ecevit, cercando di giustificare la lentezza dei soccorsi, parla di strade impraticabili e distrutte dal sisma, che hanno ostacolato gli aiuti. Di pari passo, tutti i canali televisivi turchi hanno inviati che trasmettono giorno e notte dalle aree terremotate, segno che le strade non siano poi così impraticabili.

Iniziano a farsi largo le prime accuse contro i costruttori turchi, che avevano alzato in piedi intere città nell’arco di pochi mesi utilizzando materiali scadenti e senza nessun controllo, con la connivenza della burocrazia e della politica. I primi costruttori vengono arrestati nelle settimane immediatamente successive al terremoto, tenuti in sezioni speciali delle carceri per evitare che siano uccisi dagli altri detenuti.

Lo sviluppo urbano della Turchia è stato molto rapido negli ultimi decenni. Parallelamente la popolazione del paese è aumentata notevolmente e ciò ha portato ad una crescente richiesta di abitazioni. Istanbul per esempio, la città più grande della Turchia, ha visto un aumento notevole di popolazione. Parliamo di una città che dal milione di abitanti del 1950 passa ai 5 milioni del 1980, e che raggiunge i 14 milioni nel 2014.

Gecekondu: i quartieri “nati in una notte”

I primi investimenti nelle infrastrutture urbane e nella pianificazione degli insediamenti hanno facilitato l’attività commerciale. Chiaramente, ciò ha fornito linfa vitale sia sul piano della mobilità economica che sociale, ma questo non si è esteso alle aree più remote del paese, allargando la forbice sociale.

Le cosiddette case gecekondu cominciarono ad apparire in numero significativo nelle grandi città, in particolare Istanbul e la capitale Ankara, alla fine del 1940.

ll termine turco gecekondu significa letteralmente “nato in una notte”. Indica una costruzione abusiva a scopo abitativo, una baracca come quelle che hanno riempito i sobborghi delle città turche, e di Istanbul in particolare. Il fenomeno urbano risale circa agli anni ’50, quando la meccanizzazione dell’agricoltura spinse numerosi contadini stagionali dell’entroterra a migrare verso le zone più urbanizzate in cerca di un lavoro.

Le case Gecekondu (o Gecekondular) furono costruite frettolosamente mentre i residenti della campagna si precipitavano nei centri urbani della Turchia dopo la seconda guerra mondiale. Queste case piccole, tozze e semplici, spesso con pareti grossolanamente bianche, una porta di metallo e un tetto a falde basse, ricordano più la dura campagna che una megalopoli di oltre 15 milioni di persone. Sono case che tendenzialmente divengono dimore dei Siyah Turkler (o “turchi neri”), che rappresentano lo strato meno agiato della popolazione. Il vero “boom” di queste abitazioni si ebbe negli anni ’80 sotto il governo di Turgut Özal. Basti pensare che la popolazione di Istanbul passò, in quel periodo, da 1 Milione e mezzo a 6 Milioni.

Le Gecekondular indicano quindi una casa edificata senza permessi corretti: inizialmente poteva essere una baracca, una capanna; ma col passare del tempo la condizione urbana e sociale della città sta generando dei veri ibridi abitativi non esenti da problematiche.

“Il gecekondu è qualcosa di così legato alla storia dell’urbanizzazione in Turchia che non è possibile distinguere l’edificio dal processo stesso”,

Başak Demireş Özkul

Così afferma Başak Demireş Özkul, assistente professore presso il Dipartimento di pianificazione urbana e regionale dell’Università tecnica di Istanbul:

“Si è evoluto [il gecekondu] perché la città si è evoluta”.

Başak Demireş Özkul

Il terremoto come spartiacque della società turca

Insieme alle case, il terremoto mina irreparabilmente l’intera struttura del potere turco: il governo, lo stato, l’esercito. Niente viene risparmiato dall’ira dei sopravvissuti. Per la prima volta, tutto viene messo in discussione, e si fa largo l’idea di rivoluzionare la società. Una cronaca dell’epoca descrive come, da quella notte, si iniziò a dividere la storia della repubblica in due periodi: prima del terremoto, dopo il terremoto. Prima del terremoto, lo stato aveva garantito a tutti la possibilità di avere una casa e una diffusa percezione di sicurezza. Dopo il terremoto, si scoprì qual era stato il prezzo di quelle case e di quella sicurezza: una diffusa e incontrollata corruzione, che aveva consentito all’elitè al potere di rimanervi per decenni, perpetrando se stessa, fingendo di proteggere la popolazione, ma in realtà disinteressandosene.

Il terremoto aveva spinto milioni di turchi a mettere in discussione ciò che prima era ritenuto quasi sacro, intoccabile: il loro stesso stato, l’apparato burocratico e l’esercito, che dai tempi della rivoluzione di Atatürk era stato il guardiano della rivoluzione e il protettore della costituzione laica della nuova Turchia. L’esercito rimase nelle proprie caserme per giorni, e quando uscì fu per distribuire viveri e beni di prima necessità, anziché per scavare e collaborare nei soccorsi. La popolazione iniziò a interrogarsi, chiedendosi come poteva l’esercito proteggere lo stato, se non era stato in grado di proteggere i suoi cittadini.

Tutto questo era stato il terremoto: la perdita dell’innocenza della nazione turca, su cui Erdoğan avrebbe costruito la propria fortuna politica.

Recep Tayyip Erdoğan

Il corso del paese degli ultimi vent’anni è strettamente legato alla figura di Recep Tayyip Erdoğan, Presidente della Turchia. Non è un segreto che Erdoğan voglia imitare la figura (che ancora tappezza i muri della città e gli esercizi) dell’ex leader Mustafa Kemal Atatürk. Erdoğan, negli anni immediatamente successivi al terremoto, non può essere eletto poiché bandito a vita dalle cariche elettive per una condanna rimediata nel 1998 in seguito al colpo di stato dei militari. Ciò nonostante, sulle ceneri del suo vecchio partito di appartenenza – il Refah Partititsi, “Partito del Benessere” – il futuro leader fonda il Partito della Giustizia e dello Sviluppo, l’AKP, formato in larga parte da islamisti populisti ma con un occhio rivolto all’Occidente. Questi, alle elezioni anticipate del 2002 (trascinato anche dai comizi di Erdogan e dalla sua fama di buon amministratore di quando era stato sindaco di Istanbul), ottiene una vittoria netta e conquista la maggioranza parlamentare. Erdoğan è ancora ineleggibile, ma il suo primo ministro fa passare una modifica legislativa e il leader può così tornare alla politica attiva, assumendo lui stesso la carica di primo ministro. Da questo momento in poi, l’AKP manterrà saldamente il timone della politica nazionale per i successivi vent’anni, fino ad oggi.

Gran parte del successo del Presidente deriva dalle promesse di modernizzazione della Nazione, sapientemente unite ad una volontà di ritorno alle tradizioni religiose. Come Atatürk (e come tutti i grandi leader) Erdoğan ha espresso la volontà di imprimere ed esprimere il suo potere politico tramite la realizzazione di maestosi progetti infra-strutturali: basti pensare alla suggestiva Chamika Tower, futuristica torre dalla forma di Tulipano.

L’AKP rappresenta una rivoluzione nel panorama politico turco di quegli anni, essendo un partito che di fatto riesce a dare voce anche a quella parte di popolazione turca più religiosa, sia pur mantenendo un’impronta moderna della società. Inoltre, sempre sotto la guida di Erdoğan, l’AKP inizia ad avvicinare il paese all’Unione Europea, iniziando – negli anni – quel percorso che avrebbe portato ad iniziare i negoziati per l’ingresso della Turchia nell’Unione, accompagnandola con numerose riforme che avrebbero contribuito a modernizzare il paese e a dare impulso alla sua crescita economica.

Il Governo Turco, otto mesi prime delle elezioni di Erdoğan nel 2002, aveva ricevuto dal FMI un ingente prestito (31 Miliardi di dollari) per favorire la nascita di piccole e medie imprese, al fine di combattere la disoccupazione endemica e risolvere il problema di povertà della popolazione. Consolidare i finanziamenti e generare posti di lavoro furono due punti cardine della Prima Fase della politica: dal 2003 al 2010 furono costruiti molti quartieri residenziali grazie all’Agenzia TOKI, di cui parleremo più avanti.

Ma, ad un certo punto, qualcosa cambia. Si iniziano a cogliere numerosi segnali che Erdoğan stia imprimendo una svolta in senso autoritario e confessionale alla Turchia. I due punti di svolta nell’involuzione autoritaria turca possono essere individuati nella repressione delle proteste di Gezy Park del 2013 e nella feroce repressione seguita al tentativo di colpo di stato del 2016. Il controllo sul paese si fa più stringente, con la costante limitazione della stampa e delle libertà dei cittadini e le numerose purghe di stampo staliniano contro tutte le categorie professionali. Le denunce sulla corruzione dell’AKP e dell’entourage più stretto di Erdoğan (diventato nel frattempo presidente della repubblica ed ininterrottamente riconfermato) si susseguono, ma l’opposizione è debole e frammentata, ed Erdoğan gode comunque del sostegno di buona parte della popolazione turca, anche se le città principali (Ankara, Istanbul) sono state strappate all’AKP dall’opposizione nelle varie elezioni amministrative.

La nascente frenesia urbana turca

A distinguere la Turchia da molti altri paesi in via di sviluppo è stato il ritmo, la scala e la dispersione geografica della sua trasformazione spaziale e, conseguentemente, economica. Non solo per la capitale, il cui tasso di crescita è esponenziale, creando anche un discreto malcontento nella popolazione, ma anche per quanto riguarda le città secondarie che sono anch’esse in rapida espansione e comportano ulteriori sfide per il governo centrale. Questo insieme di premesse sta definendo l’agenda politica della Turchia, con un’occhio di riguardo (nel bene o nel male) per la questione urbana. In tal senso, nuovi e differenziati standard di servizio dovranno essere stabiliti sia nelle aree più densamente edificate che nei piccoli villaggi e negli insediamenti rurali all’interno dell’area amministrativa del comune metropolitano.

Erdoğan stesso si presenta come colui che ha donato, tramite vari e ambiziosi (ma non sempre di successo) progetti urbani, il “futuro” alla Turchia, sostenendola verso una direzione politica che – a sua detta – la metterà sullo stesso piano delle grandi capitali Occidentali (ad esempio, nei suoi anni di governo ha realizzato circa 20.000 moschee nel territorio turco). Ma a che prezzo?

I mega-progetti infrastrutturali della Capitale prevedono molto lavoro e non sono esenti da problematiche. Questi rendono la pianificazione, il collegamento e il finanziamento importanti principi politici per l’agenda Turca.

Turkey Urbanization Review: Rise of the Anatolian Tigers evidenzia le caratteristiche salienti del processo di urbanizzazione della Turchia con l’obiettivo di applicare le lezioni apprese ad altri paesi in via di sviluppo.

Vision 2030 e Canal Istanbul

La Vision 2023 è una serie di obiettivi dell’amministrazione di Recep Tayyip Erdoğan risalente al 2010 e 2011, che si proponeva degli obiettivi in coincidenza con il centenario della Repubblica di Turchia nel 2023. Gli obiettivi erano:

  • Diventare una delle prime dieci economie mondiali entro il 2023.
  • Avere un Reddito pro capite di $ 25.000.
  • Aumentare le esportazioni annuali turche a 500 miliardi di dollari
  • Aumentare il volume del commercio estero di $ 1 trilione.
  • Aumentare il tasso di occupazione di 10 punti a una popolazione attiva di 30 milioni
  • Ridurre il tasso di disoccupazione al 5%.

Sul piano urbanistico invece:

  • Costruire 11 mila chilometri di nuova ferrovia ed espandere la rete ferroviaria ad alta velocità
  • Costruire 15 mila chilometri di autostrada
  • Costruire porti annoverabili tra i 10 più grandi del mondo

Per questi progetti si utilizza il modello BOT: cioè il Build-Operate-Transfer, che è un modello contrattuale in cui un’organizzazione pubblica (ad esempio un ente statale) collabora con un’azienda privata per finanziare, progettare, creare e gestire un progetto per un periodo specifico, in seguito al quale il progetto viene trasferito nuovamente all’ente pubblico.

L’ultimo e grandioso progetto del presidente è il Canal Istanbul: il canale dovrebbe collegare il Mar Nero al Mar di Marmara, e quindi al Mar Egeo e al Mar Mediterraneo. Il Canale di Istanbul taglierebbe in due l’attuale lato europeo di Istanbul e formerebbe così un’isola tra l’Asia e l’Europa (l’isola avrebbe un litorale con il Mar Nero, il Mar di Marmara, il nuovo canale e il Bosforo). Il nuovo corso d’acqua aggirerebbe quindi l’attuale Bosforo.

Le Tigri Anatoliche

Con questo nome si vogliono denominare le città secondarie della Turchia. Sono città che negli ultimi dieci anni hanno catturato una quota ingente di imprese di nuova costituzione e popolazione urbana rispetto alle tre maggiori: Istanbul, Ankara e Izmir.

Nel contesto dell’economia turca, le tigri anatoliche sono un certo numero di città della Turchia che hanno registrato record di crescita impressionanti sin dagli anni ’80, nonché una varietà specifica di imprenditori in ascesa (spesso riconducibili alle città suddette), e che hanno elevato, in via generale, il loro status di piccole e medie imprese.

In queste zone si delinea inoltre un’agenda che richiederà una pianificazione territoriale urbana rafforzata, volta ad evitare un’espansione incontrollata, costosa e inefficiente. Si vorrebbe cercare di ottenere maggiore attenzione alla pianificazione del trasporto urbano e agli investimenti per facilitare la transizione verso il trasporto pubblico, in particolare per ridurre la congestione nelle città in rapida crescita; sforzi concertati per promuovere l’impegno civico e la coesione sociale attraverso consultazioni pubbliche più attive.

L’intervento pubblico nell’edilizia: Il TOKI

Per cercare di rimettere ordine nel variegato panorama dell’edilizia residenziale turca, è intervenuta l’amministrazione pubblica. In particolare, nel 1984 fu istituito il Toplu Konut İdaresi (TOKI), una sorta di agenzia immobiliare sostenuta dal governo, per occuparsi dell’abitare e del rinnovamento urbano.

Nell’approcciarsi alla realtà delle varie città il TOKI puntava a smantellare il sistema dei gecekondu e fare in modo che nuovi alloggi fossero accessibili. Ma non solo: l’agenzia di pianificazione immobiliare aveva degli obiettivi ben precisi:

  • rigenerare le vecchie aree urbane
  • salvaguardare il patrimonio storico
  • rendere più sicura la città

Questi obiettivi, seppur possano sembrare nobili, significavano anche altro: abbattere le Gecekondular. L’agenzia, con il sostegno politico dell’AKP, si proponeva di far spazio alle fasce più abbienti della popolazione e aggirò gradualmente limiti governativi, producendo una rigenerazione urbana aggressiva e violenta a favore delle èlite, che produce anche sfollamenti coattivi per raggiungere i propri fini.

Göktürk, Gaziosmanpasa e Başakşehir:  l’altra faccia della città

L’effetto delle politiche edilizie del TOKI sono maggiormente visibili nelle città principali. Ad Istanbul, le classi più agiate sono rinchiuse in delle vere e proprie “roccaforti del benessere”, dalle quali il resto della popolazione è escluso.

Göktürk è un’area residenziale esclusiva, riservata alle classi più abbienti: basti pensare che mediamente il reddito dei suoi abitanti è 20 volte quello del resto del paese. Con ville, piscine, centri commerciali e ospedali privati questa è una cosiddetta “gated community”, separata e lontana dalla frenetica città.

Il distretto di Başakşehir è invece considerato quasi la roccaforte della piccola e media borghesia della città. Zoccolo duro dell’elettorato del presidente, è composto da conservatori e uomini d’affari della MÜSAD, associazione di produttori.

Gaziosmanpasa è una municipalità  in via di sviluppo nonchè distretto di Istanbul sul suo lato europeo. Il quartiere è in via di rapida gentrificazione.

Questi “quartieri bolla” sono zone abitate dai Beyaz Türkler o “Turchi bianchi”, che sono i turchi benestanti. Questi vivono vite distaccate dal resto della popolazione, il cui destino sembra non riguardarli.

Una città che non smette di espandersi

Nel 2016 gli studiosi Defne Kadıoğlu Polat e Çetin Çelik segnalavano l’esistenza di almeno venti progetti di alloggi di lusso portati avanti nel quartiere. Più o meno nello stesso periodo un responsabile istituzionale del piano di Rigenerazione, Gürsel Öngören, non aveva dubbi (vedi qui): le case che oggi qui vengono vendute a 1.000 dollari per metro quadro, arriveranno a 25.000 dollari. E aggiungeva: “Gaziosmanpasa competerà con Londra e Parigi”.

La propaganda di Erdoğan pone fortemente l’accento sulle infrastrutture, che il Presidente collega a date importanti per la storia Ottomana (toccando l’animo nazionalista Turco).

La crescita Turca, di cui Istanbul è simbolo, è colma di contraddizioni. Lo scrittore turco Hakan Günday scrive che Istanbul è stata come “inghiottita dal cemento, al punto che non ci sta quasi più spazio per le persone”.

Questa frase, per quanto evocativa, riflette il dramma umano di questa sfrenata crescita economica: dove la città non è che una fredda vetrina, il governo “sfolla” l’umanità per poter costruire altra metropoli.

Il secondo terremoto

Il 6 febbraio di quest’anno un enorme terremoto ha devastato la Turchia meridionale e la Siria settentrionale. Diverse scosse di assestamento, una quasi altrettanto violenta rispetto al terremoto iniziale, si sono susseguite nelle ore successive. Recep Tayyip Erdoğan ha detto che il paese è stato scosso dal “più forte disastro in un secolo”.

Ma c’è da chiedersi come mai il terremoto sia stato così mortale e cosa si sarebbe potuto fare per proteggere le persone. Probabilmente la questione riguarda anzitutto una questione geologica: quando due placche diventano troppo grandi, possono scivolare improvvisamente l’una accanto all’altra, causando il tipo di terremoto avvenuto in Turchia e Siria. La Turchia è inoltre un punto caldo per le scosse sismiche: i terremoti sono infatti comuni, anche se generalmente la maggior parte si verificano lungo la faglia dell’Anatolia settentrionale, il confine con la placca eurasiatica che corre vicino a Istanbul.

Il terremoto più recente si è verificato lungo un’altra faglia, quella dell’Anatolia orientale, che marcia con la placca araba. In media ci sono circa 15 terremoti di magnitudo 7 all’anno.
Ma questo non è chiaramente l’unico problema: la pericolosità del terremoto è ascrivibile al fatto che molti edifici non siano adeguati alle regole edilizie, ignorate dai costruttori grazie alla corruzione dei funzionari pubblici e ai numerosi condoni avvenuti negli anni. La faglia dell’Anatolia orientale non ha registrato un terremoto di queste dimensioni dall’avvento dei moderni sistemi di monitoraggio, più di un secolo fa.

Il terremoto, un dramma umano

Si pensa ancora che decine di migliaia di persone siano sepolte sotto le macerie. A Kahramanmaras, una città di oltre 500. 000 abitanti, il fumo degli incendi scoppiati a seguito del terremoto (o appiccati da persone che cercavano di scaldarsi) avvolge cumuli di macerie che si estendono per interi isolati. In tutta la regione, milioni di persone hanno fatto dormire i senzatetto in tende fornite dall’agenzia per i disastri del paese, in moschee, scuole, biblioteche o nelle proprie auto. Le squadre hanno impiegato giorni per raggiungere città come Adiyaman.

La Turchia ha rigidi codici di costruzione, adottati sulla scia di un terremoto che ha ucciso 18.000 persone alla periferia di Istanbul nel 1999 e aggiornati cinque anni fa. Nell’ambito di un piano di rinnovamento urbano ideato dal governo di Erdoğan pochi anni fa, sono state rinnovate più di 3 milioni di unità abitative. Ma allora dove risiede il problema?

“I progetti di solito sono conformi agli standard governativi all’inizio della costruzione, ma non alla fine”

afferma Murat Guvenc, un urbanista. A Osmaniye, come altrove, la maggior parte degli edifici crollati risalgono a prima del terremoto del 1999. I condoni edilizi, che consentono ai proprietari di registrare proprietà senza licenza in cambio di una multa, hanno peggiorato una situazione già negativa. Il governo ha raccolto i dividendi politici, mentre milioni di proprietari di immobili hanno finito per pagare nelle casse dello stato e assumersi il rischio. Un anno dopo l’approvazione dell’ultimo condono, Erdoğan è apparso a Kahramanmaras, annunciando con orgoglio che questo “aveva risolto i problemi” di 144. 000 residenti della città.

Più della metà del patrimonio abitativo del paese non era conforme agli standard di costruzione, ha rivelato il programma. Halise Sen, a capo dell’ordine degli architetti di Osmaniye dice, con amarezza:

Se questi edifici che erano stati legalmente costruiti e approvati dal comune all’epoca sono crollati, allora come possono sopravvivere quelli illegali?

Il terremoto, così come 24 anni fa aveva permesso ad Erdoğan di iniziare la sua scalata al potere, adesso potrebbe essere il canto del cigno della sua carriera politica. Paradossalmente, dopo aver incarnato la speranza dei turchi in una nuova epoca, libera dalla corruzione e dai problemi della gestione della vecchia elitè, la nuova classe dirigente ne ha perpetrato in maniera identica gli errori e le storture, portandoli se possibile ad un livello superiore. “E’ il principio base dell’universo. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria” fa dire Alan Moore al protagonista del suo capolavoro “V per Vendetta”. Che sia così anche per Erdoğan?

Maria Paola Pizzonia, Lorenzo Spizzirri