Ho dovuto metabolizzare la cosa, far passare un giorno e impegnare la mente in altre occupazioni. Sto prendendo coscienza solo ora di ciò che mi aspetta da oggi, il giorno dopo la morte del ddl Zan.

È vero, per fortuna non sono disabile, non sono trans né amo una persona del mio stesso sesso. Però sono donna, e uno degli obiettivi della legge era proprio quello di proteggere dalle discriminazioni di genere. Forse avranno letto male il ddl Zan e fatto confusione con gender, la pericolosa ideologia che farà diventare tutti i bambini trans qualora venisse introdotta nelle scuole. Spoiler: c’è già, almeno all’università; io infatti sono laureata proprio in Cinema e studi di genere, ma vi assicuro che questo tema si affronta anche in altri corsi, tipo Antropologia. Dal greco, “discorso sull’uomo”, inteso non come maschio bianco cishet ma come essere umano. Chissà se Salvini e Pillon, dall’alto del loro diploma classico che rivendicano sempre con orgoglio, ricordano di aver mai affrontato questa etimologia.

Perché io me lo ricordo bene, e ricordo anche gli usi e i costumi delle poleis e delle urbes, specialmente nei confronti della mia categoria che, intendiamoci, qui in mezzo è quella più fortunata. Sono bianca, menomale, per questo devo ringraziare i miei genitori per avermi inconsapevolmente donato il pregio di essere caucasica. Qualcuno, un tempo, mi avrebbe con orgoglio definita “ariana”. Sono cisgender, e anche qui tiriamo un sospiro di sollievo; e fuori casa posso passeggiare tranquillamente con il mio ragazzo. Ho piene facoltà motorie e psicoemotive, perciò al massimo possono farmi bodyshaming perché me piace magnà i carboidrati. Però sono donna, mannaggia. Avrei potuto vincere questa sfida a chi è più privilegiato, ma invece niente: dovrò aspettare di morire, incrociare le dita e sperare di rinascere con tutti questi parametri ma in un corpo fallomunito. E proprio in quanto donna, così come le mie antenate greche e latine, vivo la misoginia ogni giorno sulla mia pelle.

La vivo quando devo scegliere con attenzione come vestirmi, quando devo stare attenta ad approcciarmi con un uomo perché sia mai che fraintenda la mia gentilezza. Quando cerco tra gli scaffali del supermercato gli assorbenti più economici, quando in libreria c’è la sezione apposita di “letteratura femminile” in cui sono esposti solo Harmony. Per non parlare di quando il mio parere in ambito professionale è considerato meno autorevole rispetto a quello di un uomo senza i miei stessi titoli solo perché il mio clitoride non ha deciso di diventare un pene. Mannaggia a te, ce poteva anda’ bene!

La misoginia l’ho vissuta quando la prima domanda che mi facevano da adolescente dei ragazzi appena conosciuti era “Qual è la tua posizione preferita?”; quella volta in cui uno che credevo amico mi portò in un posto appartato in macchina perché “Per quale motivo pensi che ti abbia offerto da bere se non per scopare?”; per non parlare di tutte quelle volte in cui i miei ex avranno pensato che fosse un brillante e divertente argomento di conversazione raccontare della nostra intimità e dei dettagli del mio corpo alla loro platea di maschi astanti e vogliosi di sapere se le tette di Chiara sono abbastanza sode o com’è il suo orgasmo. Però c’è chi penserebbe che sono fortunata, perché in effetti nessuno mi ha mai stuprata. E purtroppo questo malsano sistema in cui una legge che tutela i diritti civili viene affossata arriva a farti pensare che davvero sei privilegiata, che la tua esperienza vale effettivamente meno di un’altra perché “c’è sempre chi sta peggio”.

Ma oggi, il giorno dopo la morte del ddl Zan, stiamo tutt* peggio. Stiamo nella merda, e siamo in pericolo. E il mio pensiero non può non andare a quell'(ex) amico laureando in Giurisprudenza che sosteneva, all’ennesima sentenza misogina, che la legge non discrimina e non crea precedenti per cui qualcuno si senta legittimato a farlo. Vorrei dirti che hai vinto, che tu e i fascisti come te ce l’avete fatta, darvi questa soddisfazione. Ma non lo farò, perché le rivolte sono nate sempre in seno ai discriminati, ai reietti, agli oppressi. Ci calpesterete ancora mille volte, ma non moriremo perché siamo come l’erba cattiva. Anzi: siamo l’erba cattiva. Noi siamo anarchia. Siamo rivoluzione.

Chiara Cozzi

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Ph: shutterstock