Nonostante la piattaforma per la firma digitale delle proposte di referendum e leggi di iniziativa popolare sia pronta da mesi, per effetto di un decreto attuativo firmato dal governo Draghi, l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni ha lasciato questo strumento di democrazia nel dimenticatoio. A oggi, infatti, il sito della piattaforma non è ancora accessibile perché “in fase di test”, ma dal governo non sono arrivati segnali che indichino interesse nello sbloccare questa situazione.
C’era voluto più di un anno per raggiungere finalmente il traguardo del decreto attuativo e dell’implementazione del portale da parte di Sogei, la società informatica del ministero dell’Economia. Un risultato raggiunto grazie all’impegno dell’Associazione Luca Coscioni e di Marco Cappato, che hanno lottato per ottenere il riconoscimento ufficiale delle firme digitali per i referendum e per la creazione di una piattaforma istituzionale.
Infatti, nel caso delle proposte di referendum su fine vita e legalizzazione della cannabis, i promotori si sono addossati tutti i costi di gestione delle piattaforme usate per la raccolta delle firme digitali e, a causa del rifiuto dei quesiti da parte della Corte Costituzionale, questi costi non sono stati rimborsati.
Tuttavia, da quando il governo Meloni è salito in carica, nessun membro della maggioranza ha citato anche alla lontana il tema dell’attivazione della piattaforma digitale
Il governo era tenuto a far entrare in funzione a gennaio 2022 questa piattaforma per la raccolta di firme digitali su referendum e iniziative popolari, eppure ad oggi non ha ancora attuato quanto prescritto dalla legge di bilancio del 2020. La realizzazione della piattaforma rappresenterebbe il completamento di quanto conquistato nell’estate 2021 quando, grazie ai ricorsi all’ONU di Mario Staderini, alla pressione pubblica dell’Associazione Luca Coscioni e all’emendamento presentato in Parlamento da Riccardo Magi, si è ottenuta la possibilità di firmare con SPID referendum e iniziative popolari: una conquista che ha permesso di raggiungere il quorum di firme sui due referendum di iniziativa popolare eutanasia e cannabis, un fatto che non accadeva da 10 anni (a ben guardare, gli ultimi referendum che si sono tenuti dopo il 2011 sono stati di iniziativa governativa o regionale, mai popolare).
Peccato però che ad oggi, in assenza di una piattaforma pubblica e gratuita, il costo di ogni firma (circa 1 euro l’una) ricade sui comitati promotori: un enorme ostacolo economico all’attivazione della democrazia, se si pensa che in caso di bocciatura dei referendum non è previsto rimborso (citofonare ai comitati eutanasia e cannabis per credere). La violazione di legge ancora in corso riguarda dunque sia il governo in carica che quello che lo ha preceduto. Il Governo Draghi ha impiegato più di un anno e mezzo per licenziare il decreto di entrata in funzione della piattaforma, che ha visto la luce soltanto ad ottobre 2022. Quantomeno però l’allora Ministro competente per la transizione digitale, Vittorio Colao, aveva in più occasioni manifestato pubblicamente il proprio impegno a portare a termine il progetto. Oggi il Governo Meloni ha trasferito la competenza sulla realizzazione della piattaforma al Dipartimento per la Trasformazione Digitale, sotto la guida del Sottosegretario Alessio Butti. Per mesi la piattaforma è stata in fase di test, e oggi il sito non risulta neppure raggiungibile, senza che siano mai stati presi impegni pubblici sulla sua entrata in funzione.
L’Associazione Luca Coscioni e Eumans, alcuni tra i soggetti che hanno più a cuore il tema della democrazia partecipativa e che hanno seguito da vicino gli sviluppi legati alla piattaforma, hanno chiesto due incontri al Sottosegretario, senza mai ricevere risposta. Da parte di chi, come il Governo Meloni, ribadisce a più riprese la necessità di avvicinare le istituzioni alla cittadinanza, ci si aspetterebbe un’attenzione diversa, e non l’inazione di questi mesi.