Cultura

Il Muro di foglie – le parole come unica morfina

Inizia il mio percorso suddiviso in piccole pillole quotidiane. Mi presento: sono Alessia Spensierato e ho 30 anni, scrivo storie da 10 anni e ho un computer pieno di parole lasciate in sospeso e a metà tra le dita e gli occhi. Da oggi inizia questo nuovo percorso, una storia scritta nel 2012 suddivisa in pillole: Il muro di Foglie. Una storia particolare, diversa, sicuramente forte per l’età in cui la scrissi. Una ragazza, un incidente, un cambiamento, le parole, il dolore, la poesia, i colori, la musica: parole chiave di una storia strong, di una storia (forse) comune. 

Oggi vi propongo il primo capitolo, poi arriverà il secondo e così via. 

La vita è un equilibrio instabile tra pensieri ed emozioni, tra realtà e sogno, tra paura e coraggio e tra la voglia di vivere e morire.

Quasi tutti hanno paura di scegliere con la monetina del coraggio, quella che sta in bilico, quella del 50 e 50, quella del vivi o muori, quella del sono o non sono o semplicemente quella del voglio essere o non voglio essere; la lanci, speri, cade a terra e la guardi, fai un sospiro ed alzi gli occhi al cielo: inizia tutto così.

Ogni mattina mi alzo per andare a fare la spesa, tutte le mattine sempre uguali, quasi come se il mio futuro fosse già scritto, respiro sempre la stessa aria, quel profumo di nicotina ,quasi ribelle, di un cielo vuoto che , ormai, ha spento anche me.

  • Buongiorno mamma, vado al mercato, devo comprare qualcosa?
  • Ben svegliata Nina, oggi compra la carne che ne hai bisogno!
  • Ok, allora vado, faccio un giro e torno.

Uscii di casa con un giorno in più sulle spalle, come ieri, come domani. Stavo aspettando quel momento. Quello che tutti chiamano “ il momento giusto” per riuscire a cambiare qualcosa.

Andai a piedi, tra gli alberi della mia via, per la strada della mia adolescenza, tra i ricordi dei miei 23 anni in un quartiere che racconta e nasconde le verità e le bugie di tutti, anche le mie.

  • Buongiorno Signora Maria!
  • Ma buongiorno Nina! Ormai tutte le mattine ti aspetto!

Mi sorrise con quel sorriso che non tutti hanno: quello dell’anima, quello che regali, quello che ti fa sentire positiva e felice in un istante, quello che ti fa tremare dentro.

  • Mi fa davvero piacere Maria! Qualcuno che mi aspetta allora c’è!

Scoppiai a ridere, una risata quasi isterica tra i denti e gli occhi, quella che parte dal nervosismo dello stomaco. In fondo sono una persona nervosa, ma la signora Maria era ossigeno per me.

  • Ma dai Nina, non dirmi che una bellissima ragazza come te, non ha qualche ragazzino che la corteggia?
  • Ahahah no no Maria, io non ho nessuno, ma meglio così,sono solo pensieri inutili questi ragazzi di oggi!
  • Oggi dici cosi piccola mia, ma sono sicura che tra qualche anno tornerai da me a comprare la carne come oggi, come ieri e mi sorriderai, mi racconterai, perché l’amore esiste tesoro. Alla tua età non ci pensi, ma io ti aspetterò.
  • Ahahah va bene Maria, aspetta e spera! Sono convinta che non succederà.
  • Vedremo tesoro, io non voglio dire nient’altro, so che la vita ti prenderà per mano un giorno. Dai che mi stai facendo fare la fila, come sempre, muoviti a scegliere la carne!!

Scoppiamo a ridere come due bimbe, mentre gesticolava tutta indaffarata indicandomi l’inutile fila dietro di me; forse Maria aveva ragione; lei per me era un diario, a sua insaputa tutte le mattine le lasciavo qualcosa di me, come qualche piccola stupida paura che a 23 anni hai o non hai, ed io le ho tutte, come se fosse quella mamma che non hai paura di avere, quella con cui parli, quella con cui speri, senza maschere e pregiudizi ti denudi con qualche parolina e gli occhi continuano a raccontarti, lei era questo per me. Forse non lo sapeva, ma io si.

  • Ahahah hai ragione, allora dammi le solite fettine, qualcuna in più!
  • Agli ordini tesoro!

Tornai a casa, posai la carne sul tavolo e salii in camera. Dopo 5 minuti sentii bussare alla porta della mia camera.

  • Nina ma quando ti decidi a pulire questa camera? Non si può respirare qua dentro e poi tra poco scendi che si pranza e non fare come il tuo solito che arrivi quando tuo padre ha già finito!
  • D’accordo, non ti preoccupare, sistemo e sono pronta.

Risposi sempre con la mia solita freddezze senza neanche guardarla negli occhi. Il rapporto con mia madre era molto statico, forse non era neanche un rapporto, erano poche parole e sempre le stesse, a volte vuote e soprattutto sporcate da un amore che non ormai non c’era più. Forse. Non mi interessava scoprirne il perché. La vita a volte è anche questa, fredda e stronza con chi lo è, ed io ho scelto di essere una fottuta stronza.

Ci sedemmo a tavola, mio padre al suo solito posto, appena tornato dal lavoro, faceva anche fatica ad alzare lo sguardo.

  • Ciao papà.
  • Ciao tesoro, come stai oggi?
  • Bene e tu?
  • Ma insomma, stanco ed i soliti problemi a lavoro, forse mi metteranno in cassa integrazione.

Rivolgendo lo sguardo quasi con vergogna e paura verso mia madre.

  • Come in cassa integrazione?
  • Si hai capito benissimo, dai ora mangiamo, ne parliamo dopo pranzo.

Mangiammo quasi in silenzio. Come tutti i giorni ormai. Mio padre nel vuoto della sua vita solitaria senza neanche più colori, quell’ instabilità della stabilità che senti anche a 50 anni. Guardarli così spenti mi faceva solo star peggio. Interruppi il silenzio con una delle mie frasi, sempre le stesse, quelle della routine di un pranzo spento.

  • Stasera lavoro al solito ristorante.
  • Ma quando ti degni di cercare un lavoro serio Nina?
  • Ma che vi importa, non vi chiedo soldi ormai da mesi, sto bene così.
  • Ho capito, ma non hai voluto continuare gli studi, ma almeno cerca di trovare la tua strada, se non lo fai adesso, non lo farai più.

Non risposi, ogni giorno sempre la stessa situazione. Non amavo il mio lavoro, fare la cameriera sottopagata non era certamente il mio futuro, ma andava bene così per ora. Non tutti hanno il coraggio di scegliere la propria vita, molti la fanno scegliere agli altri, molti non la scelgono proprio, altri ancora non sanno ne conoscono nemmeno il valore o ,semplicemente, non vogliono saperlo.

La mia monetina non l’ho mai lanciata o forse si. Mi sono cucita addosso la maschera adatta per me, quasi perfetta per tutti i giorni che passano senza lasciarmi il profumo di un’emozione, senza lasciarmi addosso neanche la paura; era una maschera completamente bianca, neutra di fronte ai colori dei giorni, del verde delle foglie, dell’azzurro del cielo, del rosso dei tetti e del grigio della strada e del giallo d’estate di Marseille. Ecco cosa non conoscevo; i colori di una vita che vive, ma ne sapevo solo l’esistenza senza collocazione di un grigio in una vita non vissuta, ma scelta per la semplicità di non voler andare oltre, la miglior decisione è quella di fuggire senza chiedersi nient’altro, per me.

Dopo il lavoro raggiunsi gli altri, il mio gruppetto di amici, nel nostro parco alla solita nostra ora.

  • Ciao Andrea! Come stai?
  • Ma eccola qui! Finalmente! Sei sparita in questi giorni. Come stai?
  • Ma bene dai, ho appena finito di lavorare. Voi piuttosto che cazzo state combinando?
  • Ma niente guarda, la solita vita.

Andrea è il più grande del gruppo, quello forse con più testa, un lavoro ed una bella famiglia, il solito ragazzo viziato che va in giro con la sua bella Audi e con la fila di ragazzette che ogni giorno lo corteggiano di parole.

  • Ma guarda chi c’è, anche la Francesca!
  • Nina! Da quanto tempo! Fatti abbracciare dai!

Francesca è la mia migliore amica, quella delle cazzate delle medie, delle superiori, del pomeriggio e della notte. Quella delle promesse che poi non mantieni, quella dei sogni che poi sfumano con gli anni, quella che ti conosce senza neanche voler dire una parola, quella che ti legge negli occhi, perché insieme a lei hai iniziato a scoprire il tempo che passa e la vita che ti aspetta senza volerne mai scriverne un rigo.

  • Che mi racconti?
  • Ma nulla Fra, la solita vita comunque. Lavoro e casa, ultimamente non sto uscendo perché ho pochi soldi e questo mese l’assicurazione della macchina è stata davvero pesante. Tu con l’amore?
  • L’amore va!Con Marco sono davvero felice.
  • Sei felice? Guardami.

Mi guardò con i suoi occhi grandi, gli stessi occhi da 13enne, 16enne, quelli non cambiano mai, loro.  Li riconoscerei anche tra le rughe dell’altra vita, anche tra anni, i suoi occhi saranno sempre uguali con i miei, nei nostri discorsi. Io e lei parlavamo così, a noi bastava quello. Sentire addosso la sua felicità in uno sguardo mi ha resa tranquilla e quasi invidiosa allo stesso tempo. Io non sapevo minimamente il significato di quella parola, che cosa volesse dire essere felice e quali sensazioni si potessero sentire. Però ero davvero felice per lei. Forse è proprio questa la sensazione, essere felice per qualcun altro per me era la felicità. Ma per me stessa ancora non ne avevo conosciuto l’odore di quella parola. Ma perché esistono le parole? Per confonderci ancora di più? Per farci sentire inferiori di fronte ad emozioni e sensazioni che non possiamo conoscere? Come se fossero superiori a noi. Forse per questo io non ho mai parlato. Perché le parole non sono la mia realtà, troppo belle per la mia anima.

Forse merito il silenzio, per questo ho scelto la mia maschera.

Tornai a casa dopo una notte in un parco di anime dannate alla loro paura, al loro essere vuote e spente, riempirsi del male per voler uscire dal tunnel della felicità e scegliere la dannazione di una candela spenta che non vuole accendersi, senza nessuna speranza. Ragazzi che vogliono scappare dai loro problemi, scegliendo la via più bassa, quella della solitudine; quella della non emozioni, saper vivere non è per tutti, il coraggio dell’emozione non è per chiunque. Io sono quel chiunque.

Continua…

Alessia Spensierato

 

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