È altamente probabile che una coalizione di destra, ben lontana dal contenitore della moderazione, vinca quelle elezioni politiche che tutta l’Italia aspetta. È altamente probabile, quindi, che il governo italiano abbraccerà ufficialmente tutta una nuova narrazione, ben lontana dalla destra berlusconiana che abbiamo iniziato a conoscere nel 1994 e altrettanto lontana da quella confusa e autoreferenziale narrazione che la politica a rappresentanza dell’Italia ha portato avanti fino ad oggi.
Facendo un passo indietro verrebbe proprio da chiedersi come sia possibile che una popolazione con un fresco ricordo del ventennio totalitarista scelga di abbandonarsi alla guida di una coalizione con una componente che si definisce in fierezza conservatrice, nazionalista, tradizionalista e sovranista.
In effetti, parte della risposta risiede proprio in quella narrazione che questa nuova destra dal 2014 ha iniziato a costruire e che ora, a poche settimane da quel 25 settembre che aspettiamo, dovremmo analizzare per capire che ruolo ha avuto in questa ascesa.
Se c’è una cosa in cui la politica italiana ha sempre peccato è la condivisione. Il popolo italiano, dall’altro lato, ha sempre percepito la bolla politica come un universo separato dalla vita e dalle preoccupazioni quotidiane. E così l’italiano osservava in tv un politico di cui non sapeva nulla se non il nome e la collocazione partitica, ascoltando le promesse spesso incomprensibili di quella rappresentanza così lontana dalla vita vera. Ecco che a partire dal 2014, però, qualcosa cambia.
35 milioni di persone con lo sguardo fisso sul cellulare hanno contributo a capovolgere lo scenario di una partita che, mentre la maggior parte dei politici italiani continuava a giocare chiuso in aula, la nuova destra italiana ha trasportato su quegli schermi costantemente sotto gli occhi di tutti.
David Shultz lo chiamava “politainment”, ed è l’assottigliamento di quella linea tra spettacolo e potere politico. La comunicazione della nuova destra è facile, i contenuti sono veloci, le informazioni condivise sono già masticate da quelle stesse bocche che le veicolano. Ecco che le uniche idee a portata di tutti diventano quelle di destra. I politici bucano quella bolla che da sempre li circonda per lanciarsi in una interpretazione di sé stessi che non li vuole abitanti di aule parlamentari ma concittadini con remore e timori. Gli italiani si trasformano da elettori in spettatori e diventano platea della costruita spontaneità di quella destra che tutto mostra. È così che, dopo la genuina esultanza per la squadra del cuore e la foto in spiaggia a torso nudo, una chiara politica anti-immigratoria si trasforma nelle innocenti paure di un concittadino e una pretesa sovranista in un desiderio inascoltato di tradizione.
Le opinioni della destra sono così fruibili che diventano oggetto di un continuo chiacchiericcio, la politica diventa una chiacchiera da bar e quelle che prima erano chiacchiere da bar diventano un fatto politico. Gli italiani si sentono finalmente rappresentati da un uomo comune costruito a tavolino. Attraverso una narrazione quotidiana semplice ed onnipresente la nuova destra riesce a controllare le idee che l’Italia ha del mondo che la circonda. Il racconto è perpetuo e si basa sulla semplice dicotomia amici e nemici. Così ogni evento viene esasperato, la migrazione viene raccontata alla stregua di un assalto territoriale e ogni riflessione o confronto si spengono dinanzi al pericolo di un’invasione incontrollata. Nasce il racconto di una violenza che legittima altra violenza. E così come il flusso migratorio, anche la globalizzazione diventa nemica dell’identità italiana. La vita pubblica e privata della destra improvvisamente coincidono, ogni momento della giornata di chi possiede un cellulare può essere improvvisamente abitato dalla quotidianità di quella destra onnipresente; e siccome più si vede più si vuol vedere i politici di questa nuova destra diventano improvvisamente le figure di punta nelle trasmissioni politiche, nei telegiornali e in ogni schermo. La parete che la destra è in grado di sfondare rimodella i sondaggi elettorali: dal 2018 la Lega ha un’ascesa rapidissima e la destra ha ufficialmente un suo pubblico. Salvini è il politico più seguito d’Europa. La narrazione costante ha poi anche altri risvolti: per effetto della fidelizzazione e della pioggia torrenziale di contenuti, questa destra diventa in grado di influenzare l’attenzione di ogni osservatore, spostandola da ogni possibile insuccesso. È così che ad esempio, a 48 ore dalla pubblicazione dei tragici dati di produzione industriale, il vertice di questa nuova destra si reca in aeroporto sotto gli occhi di migliaia di persone che osserveranno il leader leghista attendere il rimpatrio del latitante Cesare Battesti. Una tempesta di contenuti sul trionfo dell’intelligence italiana isola per giorni qualsiasi altra realtà. L’istituto Piepoli fotografa gli esiti dell’inondazione mediatica: in quella settimana tra l’8 e il 15 gennaio 2019, solo il 7% degli intervistati considera gli aggiornamenti sulla crisi economica. La narrazione della destra che non si ferma mai però raramente si concentra sui risultati ottenuti, continua piuttosto a creare ed alimentare, in un moto continuo, quell’indignazione popolare che poi cavalca per arrivare nelle vette dei sondaggi. Così, mentre il popolo ascolta la parabola della destra, che lo vede depositario dei più nobili ideali di tradizione e operosità, ha ben chiaro in mente chi e cosa minaccia la sua purezza, perché ogni giorno gli viene indicato da lontano. Nella nuova narrazione che assedia le orecchie dell’Italia ci sono solo buoni o cattivi e chi racconta il contrario è tacciato di miopia. La politica della rabbia diventa il pane di ogni italiano, la politica fatta nelle aule, invece, perde piede perché troppo lontana dall’ormai perenne indignazione collettiva.
A poche settimane da quel 25 settembre che aspettiamo, viene da chiedersi se l’Italia sceglierà di chiudere le orecchie alla macchina della propaganda di destra per fermarsi un attimo a riflettere sulla qualità e i valori di quella classe dirigente che è chiamata a scegliere. Viene da chiedersi se l’Italia abbia davvero la memoria così corta e se il passo che vogliamo davvero fare è quello di istituzionalizzare rabbia e discriminazioni portando al governo chi, pochi giorni fa, urlava fuori dai confini italiani che immagina un solo tipo di Stato, ed è quello che applaudiva alla caduta del DDL Zan, alla caduta dei diritti.
35 milioni è il numero di utenti attivi sui social media secondo i dati del Global Digital Report pubblicato nel gennaio 2019 dall’agenzia internazionale We Are Social in collaborazione con Hootsuite
Flavia Carlini