Non chiedete, per carità di patria, se abbia ragione il piccolo borghese che parla ad alta voce, in tono scurrile, di calcio e di donne oppure il gran borghese che se la tira leggendo Proust, rigorosamente in francese e senza neanche i sottotitoli. Una disputa, in termini gramsciani tutta interna alla borghesia (quella del consumo contro quella della produzione, i figli contro i padri), che riesce a portare un po’ di gelo persino nella calura odierna. Ciò che stupisce nella prateria del conformismo italiano, sempre attento a come si parla piuttosto che a quello che si dice, è non riuscire a separare il profeta dalla profezia: al netto dell’armamentario yuppie – dall’orologio (di cui la plebe, ainoi, era priva: che gente) all’agenda di cuoio, dalla camicia indossata malgrado il caldo (ci vogliono tre quarti di nobiltà per portarla senza annegare) alla penna stilografica- il marziano (Elkann così si è definito) una porzione di verità la sfiora pure, poi però preferisce tirare dritto sul fatto che leggeva Robinson (il supplemento culturale di Repubblica), meravigliandosi che per andare da Roma a Foggia – non c’è più morale, Contessa – tocca passare per Caserta e Benevento.
Se vi fermaste qui – De Andrè ci consenta di parafrasarlo liberamente – e lo giudicaste da buoni (piccoli) borghesi, lo condannereste a cinquemila anni più le spese. Ma se andaste più in fondo, capireste che quando l’Andrea Sperelli del treno Italo contesta scarpe Nike, iPhone e cappelli con la visiera dei piccoli lanzichenecchi, intende attaccare un social tipo di pischello che oltre il consumo di massa non va: che si diletta, solo o prevalentemente, a parlare di discoteche (night non ci crede nessuno che l’abbia sentito davvero) oppure donne, tra l’altro pare trattate come trofeo di caccia con un linguaggio pieno di parolacce a metà tra il trivio e la caserma. Non si scandalizzerà Giuseppe Conte, che si è chiesto di cosa si debba disquisire a quell’età se non di rimorchiare, se ci sono giovani che tentano o hanno provato a sintonizzare cuore e cervello oltre la sfera dell’uomo animale. Senza distinzioni politiche tra destra o sinistra, c’è chi lo ha fatto, a torto, inebriandosi di ‘guerra come solo igiene del mondo’ nelle piazze futuriste del radioso maggio del ’15 e chi (sono quei giovani che volevano al potere la fantasia) sognando una società più giusta nella rivoluzione culturale del ’68. Il termine lanzichenecchi, i mercenari responsabili del sacco di Roma, diventa metafora di chi agisce, volgare e privo di scrupoli, per sete di avere, senza sogni, senza ideali, senza storia: mosso solo da egoismo. È la danza, spesso inconsapevole, degli ultimi uomini che pensano quel che si pensa e si vestono come ci si veste.
Il guaio, ma non bisogna dirlo a quelli che ben pensano, è che il potere, diffuso e capillare, i giovani li vuole proprio così: lanzichenecchi senza memoria, lupi gli uni verso gli altri per amore di bottino. La prova? Quando ragazze e ragazzi hanno provato davvero a pensare, parlare, criticare – senza andare lontano, basta tornare al luglio del 2001 a Genova – quello stesso potere, che adesso li carezza, li ha manganellati a sangue.
Il conformismo ha sempre la cattiva coscienza, il gusto per la doppia morale, i due pesi e le centosettanta misure: nessuno si è stracciato le vesti allorché Umberto Eco disse che i social avevano dato la parola a legioni di imbecilli. Ma allora si trattava di ridurre al silenzio e all’obbedienza il vecchio zio retrogrado e ubriaco che aveva iniziato ad (ab)usare di facebook.
Il marziano elitario e snob – ma come tutti i marziani privo di conformismo – ha avuto invece l’ardire, ben più pericoloso, di lanciare i suoi strali contro il perbenismo al cloroformio di chi vuole mettere i giovani sotto tutela, lasciandoli sempre dove ci aspettiamo di trovarli: nel regno animale della maleducazione e della superficialità. Così, sia mai si sveglino chiedendo diritti, una paga giusta e un po’ di tempo libero, si avrà sempre l’opportunità di non prenderli sul serio e comandare loro, magari dopo scappellotto e paternale, di tornare a parlare d’altre sciocchezze.
Sarà stato pure questo marziano di casa Agnelli snob, saccente ed elitario, ma a chi fa piacere ritrovarsi in vagone una turba di adolescenti che urlano, lanciano pop corn, sentono musica ad alto volume e mettono i piedi sui sedili? Elkann, l’eccentrico lettore della ‘Ricerca del tempo perduto’, avrà pure torto ma non è detto che i lanzichenecchi abbiano ragione. I social, con la logica binaria del ‘mi piace’/ ‘non mi piace’, ci hanno disabituato a ragionare in punta di complessità: il crucifige sul web e sui giornali contro il gran borghese Elkann sta tutto lì a dimostrarlo.