India: continuano le proteste degli agricoltori per la riforma tra cavalli, trattori contro le forze dell’ordine e sbarramenti improvvisati. Da settimane i contadini stanno manifestando a Nuova Delhi contro la nuova riforma agraria del governo di Narendra Modi. La riforma prevede la fine delle tutele sui prezzi e la corrosione del sistema dei mercati (in hindi mandi).
Senza la gestione del governo i contadini temono l’ingresso dell’industria privata in un settore già fortemente penalizzato dalla mala distribuzione delle terre.
“Smettila di saccheggiare la terra degli agricoltori”
Riforma: aumenta la povertà?
La Rivoluzione Verde non ha portato benefici alla popolazione quanto invece ha fatto con il governo centrale. La colpa di tale discrezionalità è insita nella riforma stessa. L’introduzione di sistemi moderni ha reso più costosa la produzione e i contadini dipendenti di ricchi proprietari, come le stesse banche che fanno loro prestiti e diventano proprietarie dei raccolti.
In un paese come l’India, nel quale il 65% della popolazione (895 milioni di persone) dipendono ancora dall’agricoltura, l’81% dei contadini non possiede abbastanza terra neanche per sfamare la propria famiglia. Il risultato è: poco rendimento e sottoalimentazione per il 30% della popolazione rurale (dati estratti dal sito del FAO).
Per risolvere tale discriminazione il governo aveva approntato alcune misure: l’istituzione di prezzi minimi garantiti e la creazione dei mandi per commerciare. La nuova riforma vuole eliminare queste forme di garanzia statale e liberalizzare la compravendita, permettendo anche ai prezzi di fluttuare a seconda della domanda-offerta.
I cartelli presenti alle proteste recitano: “Senza controlli si torna a catene peggiori di quelle esistenti al tempo della dominazione inglese”, intendendo proprio la gestione da parte delle grandi aziende e delle banche.
Riforma senza le donne
La riforma ha un grande impatto economico e sociale sugli agricoltori tutti, non solo sugli uomini. Anzi le donne contadine, che già vivono una situazione di estrema fragilità, rischiano di non vedere rinnovati i pochi aiuti statali loro garantiti (il 2% della spesa totale del Ministero dell’Agricoltura).
Il settore agricolo impiega l’80% di tutte le donne economicamente attive in India, ma il governo indiano non le riconosce come “agricoltori” e nega loro tutti i diritti e gli aiuti disponibili per la categoria, come prestiti e assicurazione.
Discriminazione salariale, ruoli patriarcali, mancanza di accesso alle sovvenzioni statali e molti altri sono gli ostacoli, ma la femminilizzazione dell’agricoltura è ormai una realtà.
Con gli uomini che lasciano i villaggi per cercare lavoro nelle grandi città, la donna ha sempre più potere decisionale sulla gestione dell’attività di coltivazione.
Tra le donne e la loro emancipazione rimane però la questione dei diritti sui terreni agricoli: non possedendo le terre infatti non possono beneficiare dei sussidi.
La riforma agraria vuole risvegliare il mercato agricolo e allo stesso tempo liberarsi di un peso considerevole per le tasche dello Stato.
“Mentre questa protesta infuria e fa sì che i nostri responsabili politici prendano atto dell’indignazione dei nostri agricoltori, la lotta silenziosa e invisibile che le donne contadine affrontano ogni giorno non può essere dimenticata. Deve essere preso con lo stesso zelo per spianare la strada a una donna per svegliarsi e chiamarsi una “contadina” con chiassoso orgoglio e ragione“, fonte qui.
La condizione di disparità di genere non è neanche presa in considerazione in questi giorni di protesta.
Secondo un rapporto FAO del 2011 l’emancipazione delle donne tramite i diritti di proprietà sulle terre aumenterebbe la produzione agricola del 2% e ridurrebbe la condizione di sottoalimentazione per molte famiglie. Optare per l’inclusione delle donne nella categoria degli agricoltori non è solo una delle possibilità, ma sarebbe un passo importante verso l’emancipazione dalla condizione di povertà e discriminazione.
Sulla disparità di genere abbiamo scritto qui: “Parità di genere, forse tra 100 anni“.
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Articolo di Giorgia Bonamoneta.