
200 anni fa un giovane Giacomo Leopardi scriveva quell’idillio, L’infinito, che, più in là, sarebbe diventato croce e delizia di molti studenti italiani.
In occasione del bicentenario de L’infinito, i versi di Giacomo Leopardi vengono recitati dai big della canzone italiana in un dvd realizzato da Rai e ministero per i Beni e le attività culturali.
L’infinito di Giacomo Leopardi, scritto tra il 1818 e 1819 compie 200 anni. Ricorrenza che ci rimembra costantemente la caducità della vita e quanto, ogni anno che passa, siamo sempre più grandi e lontani dai poeti che studiavamo a scuola, vero. Non siamo lontani da questa poesia, però.
L’infinito è la cartina al tornasole che ci rende tutti –non mi venite a dire che non è vero– connessi e bambini. Ci sentiamo vicini a questo grande poeta che la mia insegnante adorava soprannominare ‘Amante delle belle lettere’. Tutti ci approcciamo al poeta recanatese come a un caro amico fragile o a un fedele sacerdote di parrocchia.

Nostalgia canaglia. La poesia di Leopardi matura nello studioso o nel lettore occasionale un fortissimo sentimento di empatia e comprensione. De L’infinito siamo gelosi, non vogliamo che nessuno ce la tocchi, quella poesia, specialmente quei primi tre endecasillabi: Sempre caro mi fu quest’ermo colle/ e questa siepe, che da tanta parte/de l’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Adesso che ho messo i primi tre versi la mia onestà intellettuale mi spinge a trascriverla per esteso. Ma sì, la metto tutta, tiè:
«Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
De l’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quïete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.»
Cosa può dirci una poesia più di quanto non ci abbia già detto il professore di italiano schiaffandocela sul banco di scuola?
Nulla, in effetti. Può ricordarci, semmai, alcune cose che abbiamo dimenticato: il valore della nostalgia, ad esempio, e l’ostinata arroganza di oltrepassare i propri limiti. Venire a conoscenza del diverso, dell’ignoto, anche se non lo si vede, e non lo si comprende ha sempre una svolta positiva e catartica.
Il risultato contemplativo che si genera con la messa in moto dell’immaginazione creativa forzata da un panorama parzialmente visibile, a causa di una siepe, origina un sentimento empatico del tutto personale. Leopardi ci dice: non abbiate paura ad abbandonarvi all’ignoto, all’infinito, apritevi ai luoghi sconosciuti, usate la vostra immaginazione che è l’unica arma che ci salverà e ci metterà in connessione con il mondo.
Per la ricorrenza dei suoi 200 anni, portati benissimo, questa magnetica poesia non smette mai di ammaliarci e di insegnarci.
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