“Interrogo i libri e mi rispondono. E parlano e cantano per me. Alcuni mi portano il riso sulle labbra o la consolazione nel cuore. Altri mi insegnano a conoscere me stesso.”
Francesco Petrarca non avrebbe potuto scegliere parole migliori per descrivere il meraviglioso mondo (e la profonda empatia) che si crea leggendo un libro. Di qualsiasi genere, con qualsiasi trama e con protagonisti scontati o fuori dagli schemi: l’atto di leggere crea universi sconfinati che allargano mente ed orizzonti catapultando il lettore in una strana dimensione, difficile da descrivere. Insegnamenti, ricordi, emozioni ed ammonimenti vari: il libro è il prolungamento dell’anima dell’autore e la coscienza di chi, apprendendo i messaggi fra le pagine bianche o virtuali, sente di aver appreso una lezione di vita che mai dimenticherà.
Esiste, in questo fantastico pianeta chiamato lettura, un genere che più di altri riesce a far sognare il lettore: il fantasy. Elfi, draghi, streghe, magie, incantesimi, nani, troll, eroi irreprensibili e antagonisti apparentemente impossibili da sconfiggere. Il genere fantasy catapulta il pubblico in un mondo distante dalla stressante realtà moderna che viviamo ogni giorno. Nella pagine di un libro governato dalla fantasia non esistono problemi insuperabili; i guai reali vengono chiusi in uno scrigno della mente ed il loro rumore incessante viene soffocato dalle gesta (eroiche o villane) dei protagonisti. Un libro fantasy è la migliore delle cure contro stress e depressione. Come nasce un libro di questo genere? Quanto lavoro c’è dietro la realizzazione di un libro di successo? Cosa spinge l’autore a calarsi nei più fantasiosi meandri della propria immaginazione? Noi di Metropolitan Magazine Italia vogliamo scoprirlo insieme a tutti voi! Come? È presto detto: il nostro personalissimo regalo di Natale a tutti i lettori si chiama Licia Troisi!
Licia Troisi durante un’intervistaSi scrive Licia Troisi, si pronuncia Regina italiana del fantasy: la mente della scrittrice romana ha partorito saghe di successo come il “Mondo Emerso”, “La ragazzo drago”, “I regni di Nashira”, “Pandora” e la nuova serie chiamata “La saga del Dominio”. Laureatasi in fisica con una tesi sulle galassie nane all’università di Roma “Tor Vergata”, l’autrice italiana ha anche svestito i panni della scrittrice fantasy per creare “Dove va a finire il cielo”, un meraviglioso scritto che ci accompagna in un viaggio affascinante fra le stelle. Narratrice, divulgatrice scientifica, donna, madre, moglie con una prerogativa costante: tenere la testa elevata dalla realtà concedendosi spazi di pura fantasia e creatività.
“Sono sempre stata una persona molto fantasiosa. Da ragazzina mi chiudevo in camera da sola a inventarmi storie che “recitavo” in solitudine. Credo che i miei libri siano nati proprio lì.” Andiamo a scoprire attraverso questa intervista in esclusiva il mondo segreto di Licia Troisi, la Nihal del “Mondo Moderno”.
Ciao Licia! La prima domanda è obbligatoria: perché il genere fantasy? Cosa ti attrae di questo mondo? C’è qualcosa che ha influenzato questa scelta?
“In verità non si è trattato di una scelta cosciente. Semplicemente, la prima storia che mi è venuta in mente e in cui credessi a sufficienza da sedermi alla scrivania e iniziare a scrivere un libro è stata un fantasy. Andando poi a guardare i racconti che avevo scritto prima, mi sono accorta che tutti avevano dentro un germe di fantastico. Evidentemente è qualcosa che mi appartiene profondamente. Comunque, a posteriori posso dire che ci sono degli elementi che trovo a me particolarmente congeniali: l’ambientazione non tecnologica mi permette di recuperare l’elemento naturale, che mi è mancato molto nella vita, o l’aspetto più truce della guerra, che tendiamo a negare. Inoltre, il duello all’arma bianca mi sembra un ottimo modo per rappresentare due diverse concezioni della vita che si confrontano ed escono modificate da questo incontro.”
Il fantasy è molto apprezzato, soprattutto nel “Vecchio Continente”. Come mai, secondo te, noi europei ci approcciamo con tanta passione a questo genere?
“Non saprei. In generale, credo che il fantasy piaccia in questo periodo storico perché viviamo in un’epoca di cinismo, in cui gran parte delle grandi ideologie sono tramontate, e chi crede in qualcosa in genere viene tacciato d’ingenuità. Io credo però che la tensione verso l’ideale non possa essere spenta nell’uomo, e il fantasy, con la sua lotta del bene contro il male, con i suoi personaggi che spesso sono mossi da ideali, anche quando sono malvagi, ci permetta di recuperare questa dimensione. E poi è vicino al mito e alla fiaba, che sono i generi più seminali e, dunque, immortali.”
Il successo letterario arriva con il ciclo del ‘Mondo Emerso’. Come si scrive un bestseller? Quanto lavoro richiede la stesura di una saga di successo e qual è il momento della giornata più creativo di Licia?
“Non ne ho idea (sorride). Nessuno ha la ricetta del successo, o i flop non esisterebbero. Posso però dire che in genere la creazione di un libro mi prende tra i sei mesi e l’anno, di cui in realtà solo tre, quattro sono dedicati alla scrittura pura: il resto è ideazione prima, e correzione poi. Prima scrivevo principalmente la sera, perché di giorno andavo all’università, da studentessa di fisica, e poi lavoravo come ricercatrice. Ora invece mi sono adattata a scrivere di giorno. In fin dei conti, è solo una questione di disciplina. Comunque, non c’è tanto un momento in cui sono più creativa durante il giorno, quanto piuttosto periodi in cui scrivo con più facilità. Di recente, devo dire, va alla grande quasi sempre.”
Domanda da Alessia Lio, Caporedattrice della sezione ‘InfoNerd’ di Metropolitan Magazine Italia: Nihal, un personaggio complesso in cui dimora un animo tormentato e uno spirito teso ad appropriarsi di una sua dimensione; è frutto di un’ispirazione particolare o conserva degli elementi autobiografici? Quanto, affettivamente parlando, conta per te la mezzelfa dai capelli blu?
“È principalmente un personaggio autobiografico. In lei ho trasfuso molto del mio percorso da adolescente, e tante sue battaglie, anche se messe sotto metafora, sono le mie. Però ho un debito anche nei confronti di altri personaggi: Naima di Nirvana, soprattutto per l’aspetto androgino e i capelli azzurri, Xadhoom di PK, Caska di Berserk.”
Puoi dircelo: ti rivedi di più in Nihal, Dubhe o Adhara? C’è un po’ di Licia nei personaggi usciti dalla tua penna?
“Mi rivedo un po’ in tutte. Come dicevo, Nihal è la mia adolescenza, Dubhe il periodo di indecisione seguito alla laurea, Adhara la mia difficoltà a definirmi quando ero sia astrofisico che scrittrice. Comunque, forse quella che mi assomiglia di più, o mi assomigliava di più nel momento in cui l’ho scritta, è Nihal.”
Quale saga scritta da te consiglieresti di leggere ai tuoi fans? Qual è, invece, il romanzo preferito di Licia? Il libro che avresti voluto scrivere è…?
“Direi che consiglierei la Saga del Dominio; è la mia opera più recente, quindi quella in cui mi rispecchio di più. Inoltre, credo anche sia la cosa migliore che ho fatto finora. Mentre il libro che mi sarebbe piaciuto aver scritto io, e il mio libro preferito, è Il Nome della Rosa. Non solo è appassionante e pieno di parti memorabili, ma è così denso di piani di lettura che, pur avendolo letto 19 volte, ogni volta ci trovo dentro qualcosa di nuovo che parla al mio presente.”
Credi ci voglia coraggio per morire? Morire è facile, è vivere che richiede coraggio!” Una bellissima frase del maestro Ido per l’allieva Nihal: quanto coraggio ci vuole per dare in pasto al pubblico un romanzo?
“Abbastanza, ma la voglia di comunicare, di condividere con qualcuno le storie che mi frullano per la testa, è sempre più grande. Poi, quando uscì Nihal della Terra del Vento, francamente non credevo avrebbe avuto tutto questo successo, e quindi non immaginavo neppure tutte le critiche e i flame che ne sono seguiti. Là per là è stata dura, perché ero piuttosto giovane, ma ho imparato tante cose sulle dinamiche della rete che poi mi sono servite in seguito.“
Domanda da Alessia Lio, Caporedattrice della sezione ‘InfoNerd’ di Metropolitan Magazine Italia: Ido e la sua frase carica di significato, quanto credi possa essere significativo interiorizzare queste parole, nel quotidiano, valicando i limiti che le nostre paure c’impongono?
“Sarebbe molto importante. Conosco per altro una ragazza che si è tatuata quella frase su un fianco, quindi, evidentemente, la lotta contro le nostre paure è un’esperienza che facciamo tutti. Io, nel mio piccolo, ci provo. È difficile, ma cerco di trasformare le mie continue ansie, che so comunque di non poter mai battere, in qualcosa che mi spinga ad andare sempre avanti e a migliorarmi. Fin qui ha più o meno sempre funzionato.”
Gli avvenimenti de “La ragazza Drago” si svolgono ad Albano Laziale, cittadina vicino Roma. Come mai questa variazione di contesto? Quanto è importante la tematica ecologista nel libro?
“Da sempre più di Roma frequento i Castelli Romani. Adesso ci vivo, ma hanno anche fatto parte della mia infanzia, e al Lago andavo a fare il bagno d’estate e a passeggiare d’inverno. Per questo l’ho inserito ne La Ragazza Drago. La natura è sempre stata molto importante nella mia vita. Ne sentivo soprattutto l’assenza, e per questo l’ho messa nei miei libri. Adesso che vivo quassù le cose sono cambiate, e ogni volta che voglio in cinque minuti raggiungo il bosco e posso fare una passeggiata. Il contatto con la natura resta per me qualcosa di necessario, di cui periodicamente ho bisogno.”
Molte persone etichettano il genere fantasy come “storie per bambini”. Cosa risponde una delle maggiori esponenti di questo universo alle malelingue?
“Che non è necessariamente vero. Io sono una scrittrice per ragazzi, e sono orgogliosa di esserlo. Però scrivere per ragazzi non significa svilire certi temi, o raccontare solo sciocchezze, anzi. Ci vogliono determinate capacità per veicolare i messaggi che si vogliono a un pubblico più giovane. E comunque il fantasy è un mondo vasto, e tanti libri non sono assolutamente scritti per un pubblico giovane; lo stesso ‘Signore degli Anelli’ non è certo un libro per ragazzi.”
La parola “universo” non era gettata a caso. Sei laureata in fisica ed hai scritto un bellissimo libro intitolato “Dove va a finire il cielo”: quanto è difficile discostarsi dal genere che ti ha resa celebre? Cosa puoi dirci di questo scritto?
“Tutta la difficoltà è stata nel trovare un mio stile nella divulgazione. Fino a quando ho scritto ‘Dove Va a Finire il Cielo’, avevo fatto solo divulgazione orale, all’Astrolab, il museo di astronomia dell’Osservatorio Astronomico di Roma dove ho lavorato da studentessa, e durante gli eventi divulgativi cui ho partecipato. Per il resto, il mio stile era quello della narrativa. Ho dovuto riscrivere un paio di volte il primo capitolo, e alla fine ho capito: che la narrazione di storie resta la mia cifra, e dunque l’ho applicata anche alla divulgazione. ‘Dove Va a Finire il Cielo’ è proprio una raccolta di storie: la mia come studentessa e ricercatrice, quella di chi ha compiuto le scoperte che racconto, a volte delle scoperte stesse.”
“Game of Thrones”, “Il Signore degli Anelli”, “Harry Potter” e le “Cronache di Shannara” (per citarne alcuni) sono passati dalla carta stampata allo schermo. Quando potremo ammirare una serie tv dedicata ad una saga scritta dalla Troisi? Esiste un progetto oppure dobbiamo limitarci a sognare?
“In passato mi è stato chiesto di sviluppare idee per serie televisive, quindi un interesse in questa direzione esiste. Praticamente sempre, però, mi è stato chiesto di produrre idee originali, quindi non legate a mie precedenti saghe. Diciamo che spero che prima o poi questo progetto possa andare in porto, secondo me il momento sarebbe anche quello giusto.”
Il genere fantasy è universale: appassiona alla lettura i più piccoli, riesce ad educare gli adolescenti e catapulta lontano dai problemi i più adulti. Quanta fantasia serve nella vita per affrontare con un sorriso le varie avversità? Quanto è importante il messaggio che ogni singolo libro può donare ai lettori? Ti senti responsabile, in qualche misura, dell’educazione di chi legge i tuoi romanzi?
“Mah, più che insegnare ad affrontare le avversità col sorriso, credo che le mie storie insegnino l’importanza della perseveranza e della ricerca. I miei personaggi vengono posti davanti a prove dure, ma riescono a venirne fuori perché non si arrendono, combattono, e non smettono mai di cercare di capire chi sono e quale sia il loro posto nel mondo. E ovviamente questo succede perché l’impegno e la fatica sono state cose importanti nella mia vita, e lo sono ancora. Se non mi fossi rimboccata le maniche, non sarei dove sono adesso, e devo lottare ogni giorno per conservare ciò che ho conquistato, a livello lavorativo e personale. Per il resto, non credo di dover insegnare niente a nessuno; la narrativa non ha questo compito. L’unica responsabilità che sento nei confronti dei lettori è di dar loro la migliore storia possibile, costruita cercando di profondervi tutta la passione e l’impegno di cui sono capace.”
Quali sono i progetti futuri di Licia? Puoi spoilerare qualcosa ai lettori di Metropolitan Magazine Italia?
“Al momento sto lavorando sul libro conclusivo di Pandora. Poi scriverò l’ultimo della Saga del Dominio. Nel frattempo, sono impegnata con altri due progetti, che però si trovano in una fase di sviluppo davvero iniziale, e non so neppure se andranno alla fine in porto, per cui preferisco non scendere nei dettagli. Spero magari di poterveli dare più in là, perché vorrà dire che è andato tutto bene.”
Ringraziandoti per il tempo gentilmente concessoci, ti pongo l’ultima domanda di questa intervista: quanto ha cambiato la vita di Licia Troisi il genere fantasy? Un buon libro può essere l’ancora di salvezza in una realtà, a volte brutale ed arcigna, come quella che viviamo attualmente?
“Per me il fantasy è sempre stato una specie di lente d’ingrandimento: mi ha permesso di capire me stessa e il mondo. Certo, l’aspetto immaginifico e di mera fantasia è importantissimo, ma la scrittura e la lettura non mi hanno mai fatta davvero evadere: mi hanno piuttosto sempre insegnato qualcosa che poi potevo applicare alla mia vita. Quindi sì, il fantasy la vita me l’ha cambiata, perché mi ha resa la persona che sono, e, al tempo stesso, mi ha dato modo di incanalare la mia creatività.”
ANDREA MARI
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