L’Iran ha recentemente trasferito nel carcere di Karaj, vicino Teheran, Yasmin Aryani e Monireh Arabsashi, dove sono imprigionati coloro che hanno commesso crimini gravi come omicidio e contrabbando.
Il 6 novembre arriva l’informazione del trasferimento di Yasmin Aryani e Monireh Arabsashi nel carcere di Karaj. Precedentemente si trovavano in uno dei carceri con minor condizioni igieniche del paese, dove mancavano acqua potabile, cibo, medicinali o fonti d’aria naturale.
Lo scorso anno, in questo stesso carcere, è stata impiccata una donna, l’ottantanovesima da quando è presidente H. Rouhani (in carica dal 2013).
I fiori della discordia
Il 10 aprile Yasmin Aryani è viene arrestata e trasferita in una località sconosciuta. Il giorno dopo è stato il turno di sua madre Monireh Arabshahi, arrestata a Vozara, carcere di Teheran, dove era andata a chiedere informazioni sulla figlia.
Il “crimine” commesso dalle due donne sarebbe quello di aver distribuito fiori e messaggi di incoraggiamento alle altre donne, inoltre non indossavano il velo.
Arrestate nel 2018 con l’accusa di propaganda contro il sistema e incitamento alla corruzione e alla prostituzione, ancora oggi il loro caso fa discutere.
Al momento della condanna infatti le due imputate non era presenti e a questo si appella l’avvocato Amir Raeesian alla difesa.
Il velo in Iran
Portare il velo in Iran è una norma della Shariʿah (la legge di Dio), così come gli altri diritti delle donne. In confronto al passato più recente la condizione delle donne è molto migliorata, ma la strada verso una pari dignità è lunga e vede oggi ancora delle essenziali limitazioni.
Per chi viola la norma (istituita 8 marzo 1978) c’è la punizione con una multa o un periodo di detezione più o meno lungo, per un massimo di due mesi.
A questa accusa spesso se ne accompagnano altre di più gravi.
Dobbiamo anche ricordare come la legge iraniana, quando alle arrestate vengono imputati tre o più capi di accusa, condanni sempre alla massima pena del crimine più grave.
Come è accaduto all’avvocata Nasrin Sotoudeh, accusata colpevole di sette reati, tra cui aver difeso altre donne e aver manifestato contro il velo. Nasrin è condannata a 33 anni di carcere e 148 frustate
L’intento di un processo spettacolare di questo tipo è di intimidire e frenare così la volontà di emulazione e protesta delle donne.
L’attenzione internazionale
Magdalena Mughrabi, vicedirettrice per il Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International, ha dichiarato:
“Le autorità iraniane stanno rispondendo alla crescente sfida delle donne iraniane e al sempre più marcato sostegno alla campagna contro le leggi sul velo, nel tentativo di intimidirle e ridurre al silenzio e alla sottomissione”
La comunità internazionale nel frattempo temporeggia. Il dialogo aperto tra le parti non è ancora abbastanza per impedire o alleggerire queste condanne. Il motivo è chiaro: non voler intervenire nelle scelte di altri paesi.
La retorica è quella della “pace a qualsiasi costo”, dove il prezzo da pagare è quello delle vite umane.
Le parole di Tayebeh Siavashi, membro del Parlamento iraniano, sembrano confermarlo. Intervistata in merito dirà: “Non capisco davvero le preoccupazioni delle comunità straniere sull’Iran. L’interferenza straniera nei problemi delle donne è dannosa“.
“Sono questioni culturali che non possono essere affrontate da comunità straniere” dice e aggiunge che “se cambierà qualcosa sarà perché dall’interno si è mosso il cambiamento“.
L’Iran al femminile
Altre donne parlano però e raccontano di una realtà in cui sono dimenticate, ostacolate e, se pronte a manifestare la propria indipendenza, eliminate.
Sono fantasmi, ciò che resta di una propaganda anti-donna che dipinge le attiviste come estremiste, malate mentali e violente.
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