Un attacco che stava arrivando e nessuno ha impedito: Israele occupa West Bank. Questa è la più grande operazione militare di Israele dal 2002.

Siamo alla fine di agosto e per qualcuno quest’estate è stata un incubo che non accenna a concludersi. Israele ha avviato una vasta operazione militare nel nord della Cisgiordania, la più grande dal 2002. L’operazione, denominata “Summer Camps,” è stata lanciata in risposta a un attentato suicida fallito a Tel Aviv, attribuito a Hamas. Le forze di difesa israeliane (IDF) stanno colpendo le infrastrutture militanti a Jenin e Tulkarm, utilizzando forze di terra, supporto aereo e bulldozer.

L’urgenza di un intervento diplomatico efficace è fondamentale per evitare un ulteriore deterioramento della situazione, che non solo minaccia la sicurezza in Medio Oriente, ma anche la pace globale.

“Summer Camps” è un nome cinico per descrivere l’occupazione di Israele in West Bank

L’operazione “Summer Camps” si inserisce in un quadro di escalation del conflitto tra Israele e Hamas, che ha visto un’intensificazione della violenza a partire dall’ottobre 2023. A oggi, oltre 650 palestinesi sono stati uccisi in Cisgiordania, la maggior parte dei quali identificati da Israele come militanti. Tra le vittime israeliane, si contano sia civili che membri delle forze di sicurezza. Questa situazione si sta aggravando a causa delle operazioni militari israeliane concentrate su aree come Jenin e Tulkarm. Si tratta di aree ritenute strategiche e simboliche per la resistenza palestinese.

Il contesto regionale è reso ancora più complesso dal coinvolgimento di attori esterni come l’Iran, accusato da Israele di sostenere i gruppi armati in Cisgiordania. Questa crescente militarizzazione e il coinvolgimento di potenze regionali rendono la situazione ancora più esplosiva.

La comunità internazionale, compresi le Nazioni Unite e il Segretario Generale António Guterres, ha espresso seria preoccupazione per l’escalation in corso. Guterres ha fatto appello per una cessazione immediata delle operazioni. Avverte che il protrarsi di questa campagna militare potrebbe avere gravi ripercussioni sulla stabilità dell’intera regione. Il rischio di un’escalation incontrollata è palpabile, e le possibilità di un accordo di pace sembrano sempre più lontane.

La strategia di Israele

Questa operazione, la più grande dai tempi di “Defensive Shield” nel 2002, si concentra su Jenin e Tulkarm, aree considerate roccaforti della resistenza palestinese. Il nome “Summer Camps” è stato scelto per ironizzare sulle operazioni di addestramento militare condotte dai gruppi palestinesi durante l’estate. La sua crudezza di questa azione militare cela obiettivi sinistri.

La strategia israeliana sembra essere guidata da un duplice obiettivo: in primo luogo, eliminare le milizie armate che rappresentano una minaccia diretta e costante; in secondo luogo, consolidare il controllo sui territori strategici, rendendo di fatto più difficile qualsiasi futuro accordo di pace. Jenin e Tulkarm non sono state scelte a caso. Storicamente simboli della lotta palestinese, la loro “pacificazione” (ovvero occupazione) ha scopi precisi. Essa mirerebbe a spezzare il morale e la capacità organizzativa della resistenza palestinese. Le operazioni israeliane in queste aree includono blocchi stradali, incursioni aeree e il controllo totale dei principali punti d’accesso. Tutto ciò rende impossibile qualsiasi movimento senza il consenso israeliano.

In un contesto regionale sempre più complesso, con l’Iran accusato di sostenere le fazioni armate in Cisgiordania, questa operazione rappresenta anche un tentativo di Israele di prevenire l’apertura di un nuovo fronte orientale contro il suo territorio. Tuttavia, la retorica della “sicurezza” non può nascondere la realtà di un’occupazione sempre più oppressiva e brutale.

Israele va fermato, che West Bank sia l’ultima atrocità

L’operazione “Summer Camps” rappresenta una manifestazione esplicita della strategia di Israele di soffocare la resistenza palestinese sotto il pretesto della sicurezza nazionale. Ormai è talmente chiaro che le scuse di Israele sembrano distopiche. Questo intervento militare, che prende di mira Jenin e Tulkarm, non può essere visto solo come una risposta a una minaccia immediata. Ormai possiamo appurare che si tratta di un piano più ampio di annessione e repressione. Colpendo queste roccaforti storiche della resistenza, Israele cerca di distruggere non solo le infrastrutture militari, ma anche la speranza di autodeterminazione di un popolo intero.

L’uso del termine “Summer Camps” per denominare l’operazione aggiunge una nota di cinismo a una campagna che mira a smantellare la resistenza palestinese. Ridicolizza le attività di addestramento estive dei giovani palestinesi, e sottolinea l’intenzione di Israele di “educare” con la forza un’intera generazione. Questo nome ironico rende ancor più macabro il fatto che si tratta di una violenta escalation volta a consolidare il controllo su territori chiave, strategicamente e simbolicamente vitali per i palestinesi.

La comunità internazionale non può più ignorare che questa operazione non è una semplice questione di sicurezza. Si tratta di una guerra mirata alla sottomissione e alla cancellazione dell’identità palestinese. Mentre le vite palestinesi vengono distrutte e le aspirazioni nazionali soffocate, il silenzio globale diventa complice di un’ingiustizia sistematica. Serve una forte pressione internazionale che imponga a Israele il rispetto del diritto internazionale e riconosca il diritto dei palestinesi all’autodeterminazione. Solo questo potrà fermare questa spirale di violenza e portare a una pace giusta e, soprattutto, duratura.

Maria Paola Pizzonia