Italia – Libia, il patto con il diavolo sulla pelle dei migranti

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Di Redazione Metropolitan

Dopo l’accordo siglato questa estate dal ministro Minniti con i capitribù libici, sono diminuite le partenze e gli sbarchi dei migranti. Un’inchiesta dell’Associated Press rivela i contorni inquietanti di un patto stretto direttamente con i gestori del traffico di esseri umani.

25 agosto 2017: il Ministro degli Interni italiano Marco Minniti riceve al Viminale 14 persone provenienti dalla Libia. Giornali e televisioni li chiamano pudicamente “sindaci”, perché “capitribù sanguinari, nonché trafficanti di esseri umani, armi e petrolio” sarebbe stato troppo lungo, oltre a suonare piuttosto imbarazzante. Viene perfezionato l’accordo già siglato qualche tempo prima, con cui i capitribù si impegnavano a ridurre le partenze dei migranti dalla Libia in cambio di medicinali, denaro, barche per il controllo delle coste ed altro “equipaggiamento” (non è sicuro che ci si riferisca ad armi, ma il sospetto è forte).

E’ sulla base di quell’accordo siglato durante l’estate che il premier Gentiloni si può presentare a Parigi al vertice sulla Libia con numeri incredibili. Ad agosto 2017 sono stati solo 3.507 i migranti giunti sulle coste italiane partiti dalla Libia, un crollo verticale rispetto allo stesso mese del 2016, quando erano arrivati dall’altro lato del Mediterraneo ben 21.294 migranti. I partner europei tessono le lodi all’approccio italiano al problema, ma qual è il rovescio della medaglia di un tale successo?

L’Associated Press ha condotto un’inchiesta (pubblicata dal Washington Post, e passata quasi in sordina sulla stampa italiana, tranne alcune lodevoli eccezioni come Il Post, Il Manifesto, Il Fatto Quotidiano e TPI)molto dettagliata in Libia, concentrandosi in particolare su due milizie con cui il Governo italiano ha stretto l’accordo per il contenimento degli sbarchi e delle partenze. Si tratta delle milizie “Al-Ammu” e “Brigata 48”, entrambe stanziate a Sabratha, in Tripolitania (parte occidentale della Libia), città cardine del traffico di esseri umani. E’ da qui infatti che partiva la stragrande maggioranza dei migranti diretti in Europa attraverso la pericolosa traversata del Canale di Sicilia.

Le due milizie sono rette da due fratelli, appartenenti al clan Al-Dabbashi, che controlla Sabratha. Al Clan Al – Dabbashi apparteneva anche il capo dell’Isis in Libia, Abdullah Dabbashi, ucciso nell’aprile 2017 proprio a Sabratha.  Diversi attivisti e funzionari della sicurezza libica hanno dichiarato alla Associated Press che entrambe le milizie erano pesantemente coinvolte nel traffico di esseri umani. Uno dei funzionari ha identificato i due fratelli a capo delle milizie come i “re del traffico di esseri umani” di Sabratha. 

In un rapporto consegnato a giugno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, lo United Nations Panel of Experts on Libya giungeva alle stesse conclusioni, indicando (a pag. 63) Ahmed Dabbashi (capo di “Al-Ammu) come pesantemente coinvolto nel traffico di esseri umani insieme al comandante della locale Guardia Costiera, Abd al-Rahman Milad (coinvolto anche nel furto e contrabbando di petrolio grezzo nell’area di Zawiyah).

Nonostante il Ministero degli Interni italiano abbia seccamente smentito qualsiasi tipo di accordo con i trafficanti di esseri umani, il portavoce di “Al-Ammu”, Bashir Ibrahim ha confermato l’esistenza di un “accordo verbale” tra le due milizie, il governo italiano e quello libico di unità nazionale retto da Fayez al Serraj. Ibrahim ha inoltre aggiunto che la brigata “Al-Ammu” (forte di circa 400-500 uomini) sia affiliata al ministero della difesa libico, mentre la “Brigata 48” risponderebbe al ministero degli interni di Tripoli. Questa sottile precisazione non è di poco conto. Infatti, essa permette al Governo italiano di smentire di aver stretto un accordo con due bande di trafficanti, poiché queste formalmente sarebbero sotto il controllo del governo di Serraj, unico riconosciuto a livello internazionale. Ma in realtà le varie milizie e tribù operanti in Libia userebbero l’affiliazione alle forze del governo centrale come una copertura ma mantenendo di fatto la propria autonomia, data la nota mancanza di influenza del gabinetto Serraj al di fuori della città di Tripoli.

La brigata “Al-Ammu”, tra l’altro è una vecchia conoscenza del governo italiano. Essa è infatti incaricata di garantire la sicurezza del sito petrolifero di Mellitah, ad ovest di Sabratha, e per questo è ben retribuita fin dal 2015. Il sito è sfruttato dall’Eni, in partnership con la National Oil Corporation (la compagnia petrolifera statale libica). 

In maniera sibillina, il portavoce di Al-Ammu ha poi chiosato: «If the support to the brigade of al-Dabashi stops, it won’t have the capacity to continue to do this job and trafficking will be back». In pratica, qualora dovessero interrompersi i fondi, la rotta del Mediterraneo tornerà ad essere sfruttata a pieno regime.

L’accordo diretto con le due milizie è confermato anche dal direttore generale del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale – task force istituita presso il ministero degli interni libico – Abdel-Salam Helal Mohammed.  Due funzionari della polizia di Sabratha, hanno aggiunto inoltre che a trattare con i miliziani siano stati direttamente membri dell’intelligence italiana, scavalcando il governo libico. Il tutto sarebbe stato consumato, sembrerebbe, senza chiedere neanche un minimo rispetto dei diritti umani dei migranti, quotidianamente violati con detenzioni, torture e abusi sessuali da parte dei trafficanti e dei miliziani.

In buona sostanza, quello che sembra emergere dall’inchiesta dell’Associated Press è una versione soft dell’accordo di amicizia, partenariato e cooperazione stretto nel 2008 tra Gheddafi ed il governo Berlusconi. Allora i migranti venivano uccisi direttamente nel deserto dalle guardie di frontiera libiche, in nome del “contenimento dei flussi”, mentre qui per il momento i migranti vengono detenuti a Sabratha. O almeno, questo è quel che sappiamo. 

Lorenzo Spizzirri