Volle scrivere il ventisettesimo capitolo del libro “The catcher in the Rye“, conosciuto in Italia con il titolo de “Il giovane Holden“. La sua ossessione per il personaggio principale creato da Salinger lo condusse ad un gesto sconsiderato, frutto di ossessione e di squilibrio mentale. Il suo nome è Mark David Chapman e l’8 dicembre del 1980 divenne il volto più ambito dai media internazionali. Non ebbe nessun merito, se non la colpa di aver sparato sei colpi di pistola all’idolatrato John Lennon, artista acclamato in tutto il mondo per il suo talento musicale e per il suo attivismo politico insieme alla moglie Yoko Ono. Eppure per Chapman l’ex componente dei Beatles non era altro che un ipocrita, un privilegiato arricchito all’inverosimile che predicata sobrietà, umiltà e rifiutava la corruzione di un mondo basato sul capitale.

Ventisette anni dopo il triste giorno Jared Leto si concede 30 Kg di troppo per entrare nel corpo e nella mente dell’omicida che sconvolse il Mondo. Grazie a “Chapter 27“, film del 2007 diretto da Jarret Schaefer, lo spettatore ha la possibilità di rivivere un fatto di cronaca a partire dal racconto dell’attore principale. Una retrospettiva sui pensieri contrastanti di un giovane che fatica a trovare il suo posto all’interno di una società che vive di radicalizzazioni, in cui gli antipodi del successo e del fallimento non lasciano spazio alle incertezze. Chapman segue le orme del giovane Holden perché si immedesima in lui. I due sono ragazzi di paese che cercano la loro identità nel caos di New York City. Ma se il giovane Holden ha il tempo e lo spazio di sperimentare la delusione, Mark è già sicuro che la città è sporca e piena di falsità.

Jared Leto in “Chapter 27” – Photo Credits: Prime Video

Il Killer di John Lennon, Jared Leto e il giovane Holden

Il falso più autentico è, appunto, John Lennon, leggenda vivente del tempo. L’odio che il giovane omicida prova nei suoi confronti rivive nel temperamento flemmatico, ma allo stesso tempo impetuoso di uno straordinario Jared Leto. Dietro le lenti fotocromatiche del suo personaggio, si insinua uno sguardo che destabilizza chiunque riesca a percepirlo. Chapman è il weirdo per eccellenza, colui che si trova a disagio vicino alle persone, ma imputa le colpe di questo suo malessere a chi lo circonda. Quello che l’omicida compie è un vero pellegrinaggio. Il suo viaggio verso la grande mela ha un unica missione: ripulirla da ogni essere umano peccaminoso, bugiardo, amorale. Come può un’artista predicare pace e amore, quando vive nella corruzione del denaro? Per la mente folle di Chapman non si può vivere in maniera paradossale, esiste solo il giusto e lo sbagliato.

Il protagonista di questo omicidio si guarda alle spalle e vede un uomo che ha fatto il suo dovere. Si rivede combattuto tra la volontà di uccidere e il pensiero di rinunciare a un atto tanto estremo; ma mentre racconta quel che è stato, non ha rimorsi per aver premuto il grilletto. Nella clinica psichiatrica dalla quale narra la sua storia è finalmente il giovane Holden. Non cerca degli alibi per il suo gesto, non gratifica lo spettatore che vorrebbe sentirsi dire “Il mio comportamento è frutto di traumi passati“, ma lo guida semplicemente nel tempo che è stato. Chapman è in pace con se stesso e l’integrità del corpo di Leto ne è la prova lampante. Il suo personaggio calcola ogni suo gesto, lo ripete con lentezza, si prepara al rituale dell’omicidio. Ha dei momenti in cui non riesce a gestire la rabbia repressa e si dimostra morboso nei confronti di chi incontra, ma subito dopo reindirizza le attenzioni verso il suo unico obbiettivo: uccidere John Lennon.

La sua dualità non ha un tempo prolungato, la sua ossessione è vera essenza. Attende con pazienza il suo obbiettivo, contempla il da farsi e pianifica il suo futuro. Nel leggere la storia del giovane Holden sa di trovare se stesso, ma è anche consapevole del fatto che il suo finale non può rimanere anonimo ed essere dimenticato nel tempo. E’, quindi, Holden a trasformarsi in Chapman e Leto ad accogliere con cura queste due personalità complesse. E alla fine del racconto non si può far altro che domandarsi cosa possa significare la parola “falso”, tanto amata dal regista di questa dolorosa vicenda.

Jared Leto in “Chapter 27” – Photo Credits: Vanity Fair

Marta Millauro

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