Joe Biden, presidente degli Stati Uniti e fino a oggi candidato per il partito Democratico alle elezioni presidenziali che si terranno il prossimo novembre, ritira la sua candidatura rinunciando così alla possibilità di essere eletto per un secondo mandato.

L’ha fatto sapere con una nota in cui dice che parlerà alla nazione in settimana per dare ulteriori dettagli sulla propria decisione. Nelle scorse settimane vari membri del Partito Democratico avevano espresso preoccupazioni per le condizioni di salute di Biden legate soprattutto all’età, che avrebbero potuto influire negativamente sul risultato delle presidenziali e sulla sua eventuale capacità di fare il presidente per altri quattro anni.

Quando il 27 giugno il presidente è salito sul palco di Atlanta, con le modalità che voleva lui – niente pubblico, microfoni spenti quando parla l’avversario – è caduto un velo, una certezza. Balbettii, frasi sconclusionate, errori, gaffe, un tono di voce “poco presidenziale”. Gli stessi repubblicani non potevano crederci, dato che a Fox News avevano già dato Biden per vittorioso al dibattito, ammiccando al fatto che si drogasse prima di salire sul palco.

Dopo Atlanta ci si è accorti che forse dovevano essere presi più in considerazione. Dopo Atlanta è iniziata una nuova fase della campagna elettorale  – campagna che doveva essere la più noiosa di sempre, un copia incolla del 2020 – una fase che è stata una sveglia. A fine giugno è arrivata l’ansia, il partito è entrato in uno stato di allarme. “Panic”, ha titolato la rivista Time, con un Biden che vaga nel nulla. Inizialmente la Casa Bianca ha cercato di giustificare il presidente ottantunenne: “aveva mal di gola”, “era in jet lag dopo il G7”. E anche la maggioranza di politici e giornalisti per un po’ sono stati al gioco: “guardate quante bugie ha detto Trump in 90 minuti invece di guardare la senilità di Biden”. Ma dopo quel giorno nei corridoi di Capitol Hill i vertici del partito hanno iniziato a studiare seriamente una exit strategy.