Cerca quel video su TikTok, dai un’occhiata a X, fai una sessione di scrolling su Instagram, e -perché no?- apri anche Facebook, magari oggi è il compleanno di qualcuno e tu non te lo ricordi. Ricomincia. E ancora. E ancora. Tutti conosciamo l’ormai celeberrima e dilagante FOMO (Fear of Missing Out), la paura di non essere aggiornati e di “mancare” qualche evento epocale o di non fare cose belle ed esaltanti come tutti gli altri, pena l’esclusione dal “giro”. Questo timore di sentirsi “tagliati fuori” è strettamente legato al mondo dei social network, che propongono costantemente nuovi contenuti, idee, spunti, consigli, esperienze. Informazioni utili e sicuramente positive, ma che, spesso, tendono a sopraffare l’utente, che non si sente in grado di tenere il passo.
Ultimamente, tuttavia, stiamo assistendo a una controtendenza. Sta, infatti, prendendo piede la cosiddetta JOMO (Joy of Missing Out), un sentimento di vera e propria gioia nel mettere in pausa lo smartphone e prendersi del tempo lontani dal circo mediatico.
JOMO: cos’è la “nemica” della FOMO
Il fenomeno, citato per la prima volta nel 2018, sul New York Times, consiste in una sensazione di appagamento e soddisfazione derivato dal volontario allontanamento dagli impegni sociali e digitali. Mettere da parte lo smartphone, almeno per qualche ora, e godersi l’attimo, senza dover preoccuparsi di postare o ideare una “storia” accattivante, permette di assaporare quello che un momento di relax o anche un’occasione d’incontro può donare. Stare “qui e ora”, senza la distrazione di un messaggio o di una notifica, migliora sicuramente la qualità delle emozioni collegate a un particolare istante, che sia un pomeriggio trascorso nel dolce far niente, o una cena in compagnia, vissuta senza sentire il bisogno di documentarla minuto per minuto.
Chi sceglie di “praticare” la JOMO si adatta a un ritmo più lento, si dedica ad attività che portano serenità, anziché adrenalinica ricerca di news, trascorre il tempo insieme ad altre persone, e non al proprio device. Piccole, silenziose ribellioni gentili a un mondo che ci vuole sempre in allerta, sempre cool, sempre sul pezzo. Iperattivi, scattanti e informatissimi, ma con la perenne ansia di non essersi divertiti abbastanza, di aver sprecato un’occasione, di non essere abbastanza. La capacità di distanziarsi e poi, quando si vuole, tornare nella “rete” regala all’individuo un potere non da poco: è padrone di se stesso.
Benefici pratici del “perdersi qualcosa”
Riuscire a non essere oppressi dal pensiero di parenti, conoscenti o amici che escono e si divertono, magari più di noi, è un esercizio di pazienza e forza interiore. Magari è vero, si potranno perdere grandi serate o qualche brivido di adrenalina, ma il nostro corpo ne beneficerà senza alcun dubbio. Diversi studi hanno dimostrato quanto le eccessive ore trascorse davanti allo schermo di un PC o di un telefono interferiscano con il sonno e con l’umore.
Evitare quella “scrollatina” della buonanotte consente di dormire meglio, senza che la luce blu emanata dallo screen inibisca la produzione di melatonina, riattivando il nostro cervello, facendoci rimanere svegli. Liberarsi dall’ansia da prestazione riduce lo stress e il senso d’inadeguatezza, rendendoci più spensierati e leggeri. L’autostima tende a crescere e si riscopre il piacere delle piccole azioni quotidiane, senza dipendere dall’universo virtuale in maniera tossica.
JOMO vs FOMO: Civil War
Certo, il percorso di disintossicazione dal canto delle sirene social non è semplice, e il team JOMO si scontra con chi ha ormai fatto della FOMO un tratto caratteriale. Da una parte, l’ossessione di partecipare a quante più feste possibili, lasciando, naturalmente, una testimonianza della propria presenza sulle principali piattaforme; dall’altra, la noncuranza di fronte a quel concerto saltato, o a quell’aperitivo rimandato. Fazioni opposte e speculari, che faticano a comprendersi e a trovare un punto d’incontro.
Tra le due, è sicuramente la prima ad essere in vantaggio, per un semplice motivo. Se da un lato c’è una totale assuefazione a un dispositivo elettronico, dall’altro incontriamo individui che scelgono di premere l’interruttore a proprio piacimento, accendendo o spegnendo la propria energia sociale in base a un desiderio o alla predisposizione. Questo, naturalmente, non vuol dire rifugiarsi in una grotta e non voler sapere nulla della realtà circostante; ci s’informa e si resta con i piedi piantati nel concreto, ma senza che la macchina sovrasti l’uomo, incatenandolo in un gioco al massacro per quest’ultimo, che diventa schiavo di un like, di una foto, di un party o di un vernissage. Anni fa, Samuele Bersani cantava «Ci sono stati dei momenti intensi, ma li ho persi già». Pazienza, aggiungiamo noi, sarà per la prossima volta.
Federica Checchia
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