La baby-star del Mago di Oz rivive nel film biografico “Judy” con Renée Zellweger
Non avevo mai chiesto di diventare un’attrice. Non sono mai stata bella. Mi guardavano e dicevano «Che ne vuoi fare di questa qui, è grassa e brutta ». Parlavano e guardavano come se non avessi occhi e orecchie.
Judy Garland
Così raccontava Judy Garland a una sbigottita Oriana Fallaci, arrivata in California per un’inchiesta sul dark side del cinema americano. Judy, ai giorni nostri, non sarebbe poi così diversa dalla schiera ex-bambine prodigio perdute sfornate dalla fabbrica hollywodiana, così come Britney Spears o Lindsay Lohan. Sin dai tempi del Mago di Oz (1939) la Garland è stata letteralmente segregata dagli studios, costretta ad affamarsi e ad una serie di pionieristici interventi estetici per restare a galla nella giungla dell’industria cinematografica hollywoodiana. Da lì, una dipendenza da pillole e psicofarmaci che non l’avrebbe più abbandonata fino alla morte, a soli 47 anni.
La vita di questa star oscura si riaccende oggi nel biopic Judy (diretto da Rupert Goold) che approderà nelle sale Italiane a partire dal 19 dicembre, e verrà presentato, in anteprima, alla Festa del Cinema di Roma. A impersonarla Renée Zellweger, una delle attrici più conosciute del cinema contemporaneo, che per ironia della sorte ritorna sul grande schermo dopo un periodo lavorativo abbastanza incerto, fatto di progetti non sempre all’altezza della sua fama (basti ricordare il suicidio di Case 39 o l’arruffatissima serie Netflix What/If).
“Ho pensato che fosse una grande opportunità. Avevo la possibilità di esplorare a fondo il lato della vita di un’artista che pochi conoscono. Sappiamo tutti i traguardi che Judy ha raggiunto durante la sua carriera, ma quanto le è costato tutto ciò e che effetto ha avuto sulla sua vita privata?”
Renée Zellweger
Judy si preannuncia già gonfio di aspettative, essendo un performance-movie basato sulle capacità camaleontiche della protagonista, che grazie al lavoro dei truccatori appare totalmente somigliante alla vera Garland. Insomma, nulla potrebbe vietare alla Zellweger di portare a casa un “fratellino” all’Oscar vinto nel 2004 grazie a Ritorno a Cold Mountain. Concentrandosi sugli ultimi, sbiaditi momenti di una carriera tormentata, si spera davvero che Judy non inciampi nella solita buca dei film biografici dedicati alle donne famose e infelici, ossia una combo disastrosa di sentimentalismo e vittimismo low-cost, che ha sabotato progetti ambiziosi come Diana- La storia segreta di Lady D (2013) o Grace of Monaco (2014), convertendoli in fastidiosi filmetti per ragazzine melense.