“Jurassic Park III”, la fine della magia

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Di Redazione Metropolitan

Terzo capitolo di uno dei franchise più famosi (e redditizi) del cinema, Jurassic Park III è il punto più basso di un filone che ha affascinato il pubblico di tutto il mondo. Allo stesso tempo può considerarsi precursore di quel genere action fantascientifico popolato da super-mostri (Mega Shark vs Giant Octopus, Sharknado).

Cosa è rimasto dell’emozione?

Ce lo ricordiamo tutti il momento in cui abbiamo visto per la prima volta sullo schermo il Brachiosaurus, in Jurassic Park nel 1993. Se c’è qualcosa che Steven Spielberg sa fare è sicuramente creare la magia, trovare il giusto amalgama tra scene mozzafiato, musiche spettacolari e umorismo sottile.

La domanda sorge spontanea, allora. Dov’è andata a finire la magia in Jurassic Park III?

Jurassic Park III - Fonte: web
Una scena del film. Fonte: web

Già nel secondo capitolo, Il mondo perduto, avevamo capito che qualcosa si stava perdendo e che si stava andando verso una inevitabile deriva. Ma eravamo ancora troppo freschi di novità (era il 1997) ed eravamo disposti ad accettare un capitolo più pesante, più lungo, molto differente dal primo. Nel 2001, con l’uscita di Jurassic Park III, cambiano molte cose e dobbiamo ancora riprenderci.

Prima di tutto non c’è più “zio Steve” alla regia, qui nei panni di produttore, sostituito da Joe Johnston. Quest’ultimo ne sa di film d’azione divertenti e coinvolgenti – è infatti stato il regista di Tesoro, mi si sono ristretti i ragazzi e Jumanji. Inoltre Michael Crichton, autore dei romanzi da cui sono stati adattati i primi due capitoli, non è pervenuto. Per non parlare di Jeff Goldblum e Laura Dern, che avevano reso grande Jurassic Park: il primo nemmeno preso in considerazione, la seconda si intravede per un attimo per poi essere abbandonata. A sostituirli ci sono William H. Macy, la scialba Tèa Leoni e l’ancor più scialbo Alessandro Nivola.

Spinosauro vs T-Rex

Per carità, è vero abbiamo il ritorno di Sam Neill nei panni del paleontologo Alan Grant. Un barlume di una bellezza che fu. Ma davvero bastano i dinosauri e un grande ritorno a sostenere un film del genere? La risposta è semplice: no.

Come se non bastasse si è pensato bene di sostituire l’antagonista, il predatore per eccellenza, il maestoso T-Rex che affascina orde di bambini fin dall’asilo. Con cosa? Con uno Spinosauro grosso, più grosso del T-Rex. E cattivo, più cattivo del T-Rex. L’idea è semplice e sfruttatissima anche in tempi recenti: ingigantire tutto per renderlo più maestoso, più spettacolare. Purtroppo non sempre funziona (anzi quasi mai), soprattutto se alla base non c’è una solida scrittura.

Jurassic Park III: un film di dinosauri

Veniamo quindi al punto cruciale: la sceneggiatura. La trama è di una semplicità disarmante e la scrittura manca di tutto ciò che rese il primo Jurassic Park grande. Non c’è la magia della scoperta perché a 4 anni dal disastro di San Diego tutto il mondo è ormai a conoscenza di Isla Sorna e dei dinosauri. Nessun dialogo botta e risposta degno di nota (e qui la mancanza di Jeff Goldblum si fa sentire). Nessuna meraviglia o sorpresa nello scoprire nuovi dinosauri. Tutto sa di già visto.

I “coniugi” Kirby si spacciano per finanziatori interessati ai lavori di Alan Grant e del suo assistente Billy Brennan e con una scusa riescono a portare tutti su Isla Sorna. La verità è che sono alla ricerca di loro figlio, precipitato qualche settimana prima insieme al compagno di Amanda Kirby mentre faceva parapendio. Partendo da questa base, la scrittura si perde per dare enfasi esclusivamente all’azione e ai dinosauri. È tutto un susseguirsi di fughe, urla, combattimenti tra dinosauri, ancora urla e ancora fughe.

Jurassic Park III - Fonte: web
La scena con gli Pteranodonti. Fonte: web

Dimentichiamoci dello spirito horror della scena della cucina con i Velociraptor, del primo film. Jurassic Park III è azione allo stato puro, precursore di tutti quei film fantascientifici che hanno come protagonisti animali giganti. I nuovi dinosauri introdotti, ad esempio gli Pteranodonti, sono affascinanti ma non ci dicono poi molto. Tecnicamente, però, il film è sublime: i pupazzi sono assolutamente realistici e la computer grafica si aggiunge perfettamente per renderli ancora più perfetti. Il risultato è più dinamismo, più velocità, più spettacolarizzazione.

Che è quello che piacque al pubblico alla sua uscita, visti gli incassi. Ma manca tutto il resto. Non c’è l’uomo che gioca a fare Dio, non c’è una filosofia alla base e non c’è la meraviglia. Insomma: non c’è Spielberg.

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