Rallegriamoci tutti: anche quest’anno Kenzo conferma la partecipazione alla campagna TX2 del WWF, che ha l’obiettivo di raddoppiare la popolazione delle tigri entro il 2022. La casa di moda francese, infatti, donerà, per ogni capo della nuova capsule collection venduto, ben 10 dollari alla campagna. Si parla, giusto per chiarire il contesto, di capi che vanno dai €130 in su.

Lodevole la causa, sicuramente. Il declino nella popolazione delle tigri è una tragedia. Così come per tutte le altre specie i cui habitat e sopravvivenza sono minacciate da cambiamenti climatici, bracconaggio, e in generale l’interferenza umana. Ma forse, solo forse, si poteva fare di più.

Bernard Arnault, CEO della parent company di Kenzo e terza persona più ricca del mondo. Photo credits: AP images

Che cos’è il greenwashing, e che c’entra con Kenzo

Non è la prima volta che Kenzo collabora con cause ambientaliste, né è Kenzo la prima marca ad inventare il greenwashing. Questa, ovvero il processo per cui dei prodotti commerciali vengono venduti come “amici dell’ambiente”, è una delle tendenze purtroppo inevitabili del vivere sotto il capitalismo. La ricerca del profitto non si ferma, ma deve contendere con il fatto che la maggior parte di noi, ormai, è almeno un po’ preoccupata per le catastrofi climatiche che ci aspettano tra qualche decennio. La risposta di ogni azienda che si rispetti? “Doniamo il 10% dei nostri guadagni a quest’organizzazione non governativa, come siamo bravi!”

Kenzo è al 100% di proprietà di LVMH, il conglomerato di brand di lusso più grande al mondo. E che vanta, tra le altre acquisizioni passate, Luis Vuitton, Givenchy, Dior e Tiffany & Co. Durante la LVMH Climate Week, lo scorso dicembre, i direttori creativi dei vari brand raccolti sotto l’egida si sono riuniti per parlare di “quale sia il posto delle luxury brands” in un mondo che si preoccupa dei cambiamenti climatici. La risposta? Investire nella produzione di tessili riciclati, upcycling, e “ma tanto noi siamo luxury brands, la nostra impronta ecologica è più bassa di H&M”. Condita da un commento su come Greta Thunberg sia troppo negativa e demoralizzante da parte di Bernard Arnault, il CEO, che preferisce pensare positivo. Per esempio, a tutte le possibilità di crescita economica offerte da una “rivoluzione industriale verde”.

È facile, in effetti, essere ottimisti, quando si compare al terzo posto nelle classifiche delle persone più ricche al mondo, sotto solo a Bezos e Musk. Ma, spoiler, il capitalismo verde non ci salverà. È una bugia, inventata e vendutaci per cercare di convincerci a lasciare che il mondo continui a bruciare, mentre i sistemi di produzione odierni continuano a devastare il pianeta. La crisi climatica non ha soluzioni interne al sistema capitalista, dato che ogni tentativo di mitigarne le conseguenze dovrà per forza andare contro alle logiche di profitto.

Per carità, compratevi la maglietta di Kenzo e il makeup ecobio e le cannucce di bambù. Ma ricordiamoci che le abitudini di consumo non fanno attivismo (soprattutto se si tratta di prodotti di lusso). E che le tigri sono minacciate da bracconaggio e distruzione degli habitat a causa dell’imperialismo, militare prima ed economico oggi, a cui contribuiscono tutti i marchi, di abbigliamento e non, che producono componenti o oggetti nell’Est Asiatico. Forse $10 a maglietta basteranno a Kenzo per ripulirsi coscienza e l’immagine – io spero di no.

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