Oggi 23 agosto Kobe Bryant compie 42 anni e si fa ancora tanta fatica ad utilizzare il condizionale. L’incredulità serpeggia tra noi, bambini traditi dal mondo. Un pianeta in cui anche le divinità non possono avere scampo con un destino, ahinoi, beffardo. Kobe non può andarsene cosi! E questa sensazione di aver lasciato qualcosa di incompiuto rende il tutto più amaro. Kobe ha vinto tutto ma i suoi successi riguardavano la vita intera. Sarebbe troppo riduttivo accostare la Mamba Mentality al solo parquet. Kobe ci ha insegnato che se vuoi puoi, ma bisogna mettere in conto la mole di sacrificio e lavoro che si incontrerà sulla strada verso l’Olimpo. Kobe è il fenomeno più realista di un mondo dello sport in certi versi megalomane e in cerca di attenzioni. Le regole base sono state tracciate, poi sta ad ognuno di noi la scelta definitiva sul nostro cammino. In questo viaggio che è la vita ci sarà anche Kobe. Lo porteremo con noi in ogni sfida che si presenterà davanti. Lui sapeva cosa fare ed ora anche noi.
La notizia che non vorresti mai leggere
Quella sera del 26 gennaio era una normale domenica invernale. Una di quelle passate a fare zapping tra la Serie A di basket e il calcio italiano e internazionale. La sera il main event era la gara tra il Napoli e la Juventus. Quella sera al San Paolo la Juventus è andata k.o., ma quella sera verrà ricordata sicuramente per altro. I nostri smartphone si sono scontrati con una notizia che non può avere un minimo senso. “Cosa vuol dire: morto Kobe Bryant?”.Una di quelle news che ti portano lecitamente a sfregare gli occhi. Una, due, tre volte. Quelle righe continuano a non andar giù. Bello scherzo, ma ora basta.
La voce si è diffusa in tutte le parti del mondo. Qua nessuno sembra voler scherzare. Kobe Bryant non c’è più e con lui pure la figlia Gianna. Una tragedia immane a cui ancora si fa fatica a trovare un perché un minimo razionale. Ma c’è poco da dire soprattutto quando a farne le spese è anche una bambina a cui è stato tolto il diritto di costruirsi un futuro. Ovviamente lo sport si ferma a riflettere. Non può che omaggiare un atleta, ma soprattutto un uomo, così meraviglioso. L’incredulità fa ora spazio all’amarezza. È veramente difficile, in quei giorni, pensare al mondo senza Kobe. Ci vorrà tempo per voltare pagina.
Kobe Bryant, un addio da metabolizzare
Qualche mese più tardi ci siamo imbattuti in un periodo di grande instabilità. L’enorme dolore per la scomparsa del Mamba, per forza di cose, è stato abbastanza messo da parte. In realtà resta vivissimo ma cerca di nascondersi in un religioso silenzio. Il Covid ci ha fatto stare senza basket per un lungo periodo. Da un lato, nonostante ci sia mancato tantissimo, si può dire sia stato un bene. Forse ci ha aiutato ad elaborare nel modo migliore un lutto così sconvolgente. La fretta e la frenesia della NBA ci avrebbe costretto a camminarci sopra senza troppi pensieri. Un evento così drammatico andava ben metabolizzato. Non si possono non considerare gli strascichi che la pallacanestro vive ancora dopo la morte di Bryant. Ora ci sono presupposti migliori per ripartire.
Uno degli sportivi più importanti di sempre non ha però avuto un riconoscimento totale nel paese dov’è cresciuto: l’Italia. Nessuna prima pagina, il giorno dopo la sua scomparsa, e rimane una dei punti più bassi del giornalismo sportivo italiano. Non rendere omaggio a Kobe Bryant vuol dire aver chiuso gli occhi per un ventennio e passa. Un’altra brutta occasione sprecata per ricordare un uomo che ha deciso di andare oltre. Di “mostri” come lui non ne nascono a palate, ma evidentemente è facile dimenticarlo.
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