Oggi molte donne si sveglieranno con un bel mazzo di mimose, per chi è allergica – con un po’ di fantasia – cioccolatini e rose. Tutto per l’8 marzo, per la “festa delle donne”. Ma cosa stiamo festeggiando?
E non è soltanto una presa di posizione, ma un dato di fatti. La vera origine dell’8 marzo e di questa ricorrenza, infatti, è associata alla Giornata internazionale della donna. E, soprattutto, in ambito socialista per le battaglie ai diritti. Nulla che riguardi, sicuramente, la vendita di cioccolatini in confezioni da cuoricini colorati.
L’8 marzo, la cultura pop che celebra la festa delle donne
La cultura pop ha annichilito il significato dell’evento, dal suo significato sociale e politico di opposizione al potere. E, invece, in qualche modo la “Festa della donna” è diventata l’ennesimo pretesto per commercializzare una missione che non è stata in alcun modo superata.
Nel concedersi la serata (magari non ora) in giro solo tra donne ed essere omaggiate da mazzi puzzolenti (diciamocelo) di mimose, non si fa che accreditare un visibile limite.
Non è tanto la ripresa dell’origine storica della ricorrenza dell’8 marzo – che ormai sappiamo tutti – ma la continuità contemporanea dei festeggiamenti commerciali per cui le aziende si sprecano in serate a tema e i ristoranti in menù rosa stellati. Consigli outfit per serate con le amiche, in diritto di un giorno di libera leggerezza.
Non si legittima la libertà per una festa. Quello che dimostra l’8 marzo è la narrazione tradizionale che continua a tessere le fila del sistema.
Nulli gli scioperi e le sedute in parlamento per le quote rose se poi festeggiamo l’8 marzo con l’approccio più bigotto patriarcale che possiamo concedere.
È forse la tangibile prova di un sessismo radicato, che però non sempre decidiamo di condannare se abbiamo passato le ultime due ore dello scorso 8 marzo a scegliere cosa indossare per andare alla serata a tema.
Quanto contano gli scioperi se non sradichiamo il nostro approccio personale? Con una disarmata retorica di genere.