La Corte d’Appello di Hong Kong ha vietato la canzone pro-democrazia “Glory to Hong Kong”

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Di Redazione Metropolitan

La Corte d’Appello di Hong Kong ha vietato la canzone pro-democrazia “Glory to Hong Kong”, diffusa durante le proteste del 2019 nella regione amministrativa speciale. Le autorità hanno affermato che il brano – collegato alle proteste e ai disordini di 5 anni fa – è stata “erroneamente e ripetutamente presentata” come l’inno della città. Si riferiscono a quei casi, spesso eventi sportivi internazionali, in cui per confusione è stato suonato al posto dell’inno cinese. Si stima, in tutte le situazioni, che ciò sia avvenuto almeno 800 volte.

Lo scorso luglio, l’Alta Corte aveva respinto la proposta del governo, affermando che la mossa potrebbe avere un “effetto agghiacciante” sulla libertà di parola. Ma le autorità hanno contestato la decisione della corte, ora ribaltata. Durante l’appello, un avvocato che rappresentava il governo della Città aveva citato un’intervista rilasciata dal compositore della canzone, in cui quest’ultima veniva definita “un’arma” che ha contribuito allo sviluppo delle proteste.

La sentenza di mercoledì rende “Glory to Hong Kong” la prima canzone vietata a Hong Kong da quando l’ex colonia britannica è diventata regione amministrativa della Cina, nel 1997. Fino al 2020, anno di una contestata e repressiva legge cinese sulla sicurezza nazionale, Hong Kong aveva sempre goduto di un certo margine di autonomia, che dopo l’approvazione di quella legge si è andato via via riducendo, con sempre più processi e condanne nei confronti di attivisti e politici a favore della democrazia.

La sentenza di mercoledì impedisce la trasmissione e l’esecuzione della canzone. Lo scorso giugno il governo di Hong Kong aveva già chiesto alle autorità giudiziarie locali di vietare ogni forma di distribuzione e circolazione della canzone, compresa la sola melodia e qualsiasi adattamento, definendola un inno alla «secessione» dalla Cina e un «grave danno nazionale». Un mese dopo la Corte Suprema di Hong Kong aveva respinto la richiesta, sostenendo che il divieto potesse minare la libertà di espressione. Il governo aveva presentato un appello, accolto con la sentenza di mercoledì.